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Giancarlo Orsini
United Music è un progetto digital audio in continua evoluzione: si
tratta di una piattaforma digitale totalmente gratuita fruibile dal sito
unitedmusic.it e da un’app ad hoc, progettata per stare al passo con
i più innovativi sistemi operativi presenti sul  mercato. Il sistema è
infatti compatibile con Android Auto e Apple Car Play, oltre che attivo
sui principali smart speakers di Amazon e Google.
L’offerta di United Music si struttura in più di 150 digital radio
organizzate in canali tematici suddivisi per genere ed è minuziosamente
pensata per soddisfare i desideri musicali di tutti i target di ascoltatori,
che potranno scegliere liberamente i propri generi preferiti ed
approfondirne di nuovi.
Grande contributo è affi dato inoltre alle radio create in esclusiva da
artisti di calibro internazionale, tra cui Bob Sinclair, David Morales,
Sananda Maitreya, e altri in divenire.
United Music cambia la tua idea musicale per davvero.
INQUADRA IL LOGO UNITED MUSIC
PER ASCOLTARE LA PLAYLIST
DEDICATA ALLA LETTURA  DEL LIBRO
RADIO MEDIASET

 

GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
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ISTRUZIONI?
Per un libro tradizionale, di norma, non servono le
istruzioni. Lo compri (o te lo regalano), lo apri, sfogli
le pagine e inizi a leggerlo. Quando arrivi alla fine di un
capitolo, passi al successivo, e da quello alla fine (sempre
che il libro in questione non ti stufi prima). Il fatto è che di
solito i libri sono statici e una volta stampati, restano così
come sono. Il che a sua volta significa che invecchiano
subito: appena escono in libreria, si fermano.
Questo no. Questo libro va avanti. E non solo perché
parla di progresso, innovazione e futuri dell’umanità, ma
perché è dinamico, cioè dà voce ai lettori che avranno
voglia di scriverne una parte, ed è collegato a pagine che
si animano. Quindi cresce, e cambia in continuazione.
Questo libro guarda avanti. E lo fa con le parole e con i
fatti: questo libro non si limita a parlare di innovazione ma
la promuove sul serio, cioè fa in modo che proceda, che
prenda vita.
In una sola parola: la finanzia. Oltre a essere dinamico
e a cambiare e a crescere, questo libro finanzia
l’innovazione. Perché? Perché le parole sono importanti,
importantissime, ma per diventare reali hanno bisogno
dei fatti, cioè di risorse concrete, di tempo e di strumenti
e di denaro. Hanno bisogno, in una sola parola, di un Go.
Ogni libro è una risorsa, ma  questo lo è anche nei fatti
perché dà spazio – e risorse –  a chi ha un’innovazione
da condividere, un sogno da realizzare. E poi ogni anno
sceglie il progetto più meritevole e per un periodo dai
tre ai sei mesi manda chi l’ha pensato in California, nella
Silicon Valley, per fare in modo che quell’idea prenda vita.
Ecco perché servono le istruzioni.

 

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Giancarlo Orsini
Quindi come si usa?
Si può usare come un libro normale, di quelli tradizionali,
ma si può anche usare al meglio delle sue possibilità per
scoprire cosa ha da dire a te che lo stai sfogliando proprio
adesso, per sentire cosa dicono le persone che l’hanno già
letto, e per vedere, in realtà aumentata, come cambia nel
tempo. Se scrivi la tua storia, il tuo “Go”, potrai leggerla in
realtà aumentata e sul sito dedicato e vederla anche su
carta, nero su bianco, in una delle prossime ristampe. Se
la tua idea di innovazione verrà scelta, questo libro ti darà
le risorse per realizzarla.
In un momento come questo è fondamentale occuparsi
anche del tessuto economico/sociale sostenendo la vera
innovazione. Nel mio piccolo con questo libro e il tuo
contributo, voglio fare la mia parte, dobbiamo fare la
nostra parte.
Se vorrai far leggere questo libro ai tuoi amici,
collaboratori, clienti, potrai personalizzare il primo
capitolo (che aggiungeremo e stamperemo per te) con la
tua storia, la tua visione e regalarlo a chi ti è caro.
Sì un capitolo tutto tuo! In un libro che parla di futuro e
che aiuta le persone a razionalizzare il presente per vivere
più serenamente il futuro.
Bisogna aver paura di tutto ciò che è estremo
ma non  bisogna aver paura del futuro
Se sei interessato scrivi a: info@golibro.it

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
SOMMARIO

ISTRUZIONI?
5

INTRODUZIONE
11
PERCHÉ QUESTO LIBRO NON PARLA
DI “FUTURO”  MA DI FUTURI
1.
IL POTERE PIÙ GRANDE DELL’UMANITÀ
15
GENERAZIONI IN PARALLELO
IL PIÙ GRANDE POTERE DELL’ESSERE UMANO
BIBOP GRESTA
21
2.
IL FUTURO NON ESISTE
23
IMMAGINARE IL CAMBIAMENTO
I FUTURI POSSIBILI – USARE L’IMMAGINAZIONE
STEFANO SACRATO
34
3.
E SE DOMANI…
35
CI FIDIAMO DEI ROBOT?
SEI PAURE SUL FUTURO E ALTRETTANTI
#THINKDIFFERENT – FUTURO E/O DESTINO?
ENZO MUSCIA
52
4.
UNA VITA PIÙ LUNGA E PIÙ SANA
53
VERSO UN’ESISTENZA MIGLIORE:
TELEMEDICINA, CHIRURGIA ROBOTICA
E RIGENERAZIONE CELLULARE
SANTUCCIONE
65

 

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Giancarlo Orsini
5.
ADATTAMENTO
67
EVOLUZIONE DELLA SPECIE
INTELLIGENZA EMOTIVA
ALEC ROSS
76
6.
TESSUTI GLOBALI, SCENARI ALLARGATI
77
IL VALORE DEL “MADE IN”
DESIGN ITALIANO NEL MONDO
SIMONE SIMONELLI
86
7.
L’INNOVAZIONE NON HA ETÀ
87
IL PROGRESSO È SOLO PER I GIOVANI?
12 PASSI PER VIVERE MEGLIO
MATTIA FRANZONI
93
8.  CONNESSIONI
95
FARE RETE  – I DISTRETTI DEL FUTURO
DAVIDE DAL MASO
105
9.  IL FUTURO DEL LAVORO
107
IL FUTURO DEL MONDO, DEL LAVORO, DELL’UOMO
VITTORIA CICCHETTI
115
10. PROTAGONISTI DEL NOSTRO TEMPO
117
L’INNOVAZIONE DEL PENSIERO
IL NUOVO MONDO
IL DESTINO DELLE SPECIE
GRAZIANO RICAMI
131

 

9
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
11.  LIBERTÀ
133
SIAMO QUELLO CHE FACCIAMO
LIBERTÀ DI SCELTA
PRODOTTI E SERVIZI
SIMONE RUSSO
142
12. ISPIRAZIONE
143
NUOVI “GURU” O NUOVI IMPRENDITORI
ENRICO E
151
GABRIELE GRASSI
13. FORMAZIONE
153
STUDIARE OGGI PER PREPARARCI
AL DOMANI – THE FUTURE OF SKILLS
DANIELE MANNI
164
14. SOSTENIBILITÀ
165
MIGLIORARE LO SCENARIO
CREARE BENESSERE
DANIELE BARBONE
177
15. CHI VUOI ESSERE?
179
MASSIMILIANO SECHI
191
16. IL TUO GO
193
IL TUO CAPITOLO
OSCAR DI MONTIGNY
205

 

GIANCARLO ORSINI?
207
CONCLUSIONI
209
INTERVISTE SPECIALI
213
PARTNER
225
RadioMediaset
226

Pikkart
232
Hyled
234

Setpointstudio
236
Roberta Giulia Amidani
238
Nardin Libri
240
RINGRAZIAMENTI
243
NOTE
244
10
Giancarlo Orsini

 

11
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
INTRODUZIONE
WHY AND WHAT ABOUT
– PERCHÉ QUESTO LIBRO NON PARLA
DI “FUTURO”  MA DI FUTURI, AL PLURALE,
E SOPRATTUTTO DI UMANITÀ
Questo è un libro sull’essere umano. Non è un libro sul
futuro; certo non in senso stretto e di sicuro non al
singolare.
Anche se buona parte di quello che faccio è legato al
domani, e anche se sono in molti a chiamarmi ‘futurologo’,
la verità è che non scriverei mai un libro sul futuro perché
se c’è una cosa che ho imparato è che non si scrive né si
inventa mai niente di nuovo.
L’unico libro che potevo – e forse potrò mai scrivere – è
quindi un libro che parla di umanità perché l’umanità è
quello in cui credo.
L’umanità è ciò di cui mi fido.
Le sue (cioè le nostre) capacità sono ciò che mi porta
sul palco e davanti ai microfoni di fronte a centinaia di
persone.
Le sue (cioè le nostre) capacità sono ciò che ci ha fatto
superare guerre e pandemie che hanno rischiato di
cancellarci dalla Terra.
Le sue (cioè le nostre) capacità sono ciò che ci ha dato
la penicillina, e sono anche quelle che oggi ci danno la
telemedicina con la quale un dottore nella city di Londra
può esaminare in tempo reale l’interno di uno stomaco in
un microvillaggio nella selva amazzonica.
Le sue (cioè le nostre) capacità sono ciò che ha permesso
alla nostra specie di sopravvivere all’ambiente che ci

 

12
Giancarlo Orsini
ospita, anche se questo ambiente non è sempre stato
ospitale con noi ed è probabile che lo sia ancora di meno
negli anni che verranno.
Dalla notte dei tempi, le sue (cioè le nostre) capacità sono
una risorsa in cui credere e sulla quale investire e una
risposta sensata alle domande sul futuro incerto, sulla
paura del domani, sul rischio che il pianeta sia troppo
compromesso per invertire la rotta e su quello che le
intelligenze sintetiche diventino così intelligenti da non
avere più bisogno di noi.
Le capacità dell’essere umano sono ciò che da quando
esistiamo ci permette di immaginare l’inimmaginabile,
poi provare a costruirlo, sbagliare, e imparare da ogni
tentativo, fino a riuscirci davvero. Le capacità dell’essere
umano sono quelle che ci fanno rialzare, che ci aiutano a
ricostruire, che ci avvicinano gli uni agli altri. Sono quelle
che davanti a ogni caduta, a ogni crisi, a ogni calamità ci
ricordano che il potere più grande che abbiamo è la nostra
umanità, è il modo con cui pensiamo, ci uniamo gli uni agli
altri, facciamo rete, ripartiamo.
Oggi, nel bel mezzo della crisi più eclatante e veloce
di sempre, in mancanza di letteratura, senza modelli
matematici predittivi che dicano quando questa crisi finirà
e come ci lascerà, ho scelto di far uscire la prima di molte
versioni di questo libro senza mai parlare del virus che ha
messo il mondo in quarantena.
Non servono altri numeri e altri grafici. Non servono
predizioni. Quello che ci serve adesso (e che ci servirà
sempre) è la fiducia nella nostra specie e nelle sue (cioè le
nostre) capacità.
In questo libro vedremo alcuni dei modi in cui oggi stiamo
scrivendo il domani: parleremo di scenari futuribili, delle

 

13
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
contaminazioni che siamo già in grado di pensare e ci
interrogheremo su quelle che verranno.
Avvicinandoci al tema dell’innovazione, ci fermeremo a
riflettere sull’innovazione come contrario della resistenza
al cambiamento e lo faremo distinguendo tra innovazione
di prodotto (o servizio) e di significato. Parleremo anche
della paura, della resistenza al cambiamento, e di vecchie
questioni sotto nuove forme.
Esploreremo il movimento, l’arte di darsi da fare e
agire, ossia uno dei principi che ben prima di guidare
il cambiamento e le super moderne innovazioni tecno
futuristiche, ha dato il via all’evoluzione, alla nostra
evoluzione.
Ci concentreremo sul passaggio tra adattamento, visione
e condivisione e poi sulle connessioni, sulle reti, i distretti
e le Valley di domani.
Parleremo di scenari allargati e di tessuti globali, di come il
fatto che il progresso sia giovane e sempre contemporaneo
non tagli fuori i meno giovani.
Circa il domani, proveremo a dimostrare come sia già qui,
e lo sia sempre stato; di come essere protagonisti delle
proprie scelte (e non solo consumatori passivi di decisioni
altrui); parleremo di conoscenza, di ispirazioni, di vecchie
dipendenze sotto nuove forme.
Dedicheremo spazio alla formazione per immaginare
competenze che ancora non servono e daremo uno
sguardo al benessere inteso non solo come il nostro ma
anche come dello scenario che ci circonda in qualità di
esseri umani. In chiusura di ogni capitolo daremo voce ad
alcune delle menti che ho avuto la fortuna di incontrare in
questi anni e che qui hanno deciso di dedicare un po’ del
loro tempo per raccontarci del loro modo di immaginare
l’inimmaginabile.

 

 

15
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
1.
IL POTERE PIÙ GRANDE
DELL’UMANITÀ
UNA STORIA RECENTE E LUNGHISSIMA
– UN SISTEMA COMPLESSO –
– GENERAZIONI IN PARALLELO –
ADATTABILITÀ: IL PIÙ GRANDE POTERE
DELL’ESSERE UMANO
Tutto quello che facciamo, vediamo, creiamo – e
addirittura pensiamo – è il risultato della nostra vita come
esseri umani, delle informazioni che abbiamo raccolto
e condiviso, e dell’ambiente nel quale siamo immersi.
Ancora prima, è il risultato di una storia che precede la
nostra nascita, il concepimento, e l’epoca nella quale
siamo nati.
Se ognuno di noi, così come pure ogni elemento del nostro
universo, è il frutto di miliardi di modificazioni, allora lo
sono anche i nostri pensieri. Anche le nostre invenzioni.
Addirittura i nostri desideri, e primo fra tutti quello che
riguarda l’immortalità che altro non è se non il bisogno
della vita di propagarsi da un giorno all’altro, da un anno al
successivo, attraverso i decenni, i secoli, le ere geologiche.
L’universo ha circa 13,82 miliardi di anni. La Terra ne ha
solo quattro e mezzo. I primi organismi sembrano averne
meno di due1.
L’uomo moderno – per come lo conosciamo noi – ha poco
più di duecentomila anni, il che significa che a prescindere
dal conteggio che ognuno di noi fa con la propria data di
nascita, tutti gli esseri umani sul pianeta hanno una storia

 

16
Giancarlo Orsini
al tempo stesso lunga (guardando a noi) e breve (se la
confrontiamo con quella del nostro ambiente).
Dal punto di vista del pianeta, la nostra esistenza è recente:
in percentuali, giusto per dare i numeri, ci siamo dallo
0,004%. Se facciamo una proporzione e immaginiamo che
la Terra esista da un solo giorno, scopriamo che esistiamo
da circa 3,8 secondi2. Dal nostro punto di vista come
specie, società, bisogni e desideri invece siamo vecchi,
molto molto vecchi, addirittura antichi.
Nelle nostre cellule c’è traccia di tutto quello che sono
stati i nostri progenitori e nei nostri pensieri c’è l’eco degli
stessi bisogni.
Oggi, come duecentomila anni fa, ci preoccupiamo della
nostra sopravvivenza e di quella della nostra specie;
cerchiamo il benessere e temiamo i pericoli. Per riuscirci
continuiamo a cambiare e ad adattarci, e a scambiarci
informazioni sulla base delle quali compiamo scelte
e – a volte – prendiamo nuove strade. Lo facciamo per
rispondere a bisogni fisiologici, legati alla nostra natura
di esseri viventi (e quindi cellule che puntano alla
perpetuazione della specie); lo facciamo per chi vive con
noi oggi e per chi (forse) ci ricorderà domani.
Questo è lo scenario degli esseri umani ma è anche quello
delle aziende, dei marchi, delle invenzioni e dell’arte, cioè
di tutto ciò che ci ruota intorno e mentre ci riempie la vita
di impegni, ce la rende più piacevole.
Siamo parte di un sistema complesso, da un lato
giovanissimo e dall’altro ancestrale, fatto di esseri viventi
che guardano avanti e vivono di relazioni: dentro ai nostri
corpi, con le cellule che si parlano, nei nostri cervelli, con le
mappe neurali che si modificano, e tra di noi, con i contatti
che abbiamo con il mondo che ci ospita. Eppure, da una
generazione all’altra, anche a distanza di pochissimi

 

17
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
anni, siamo in grado di vedere differenze, a volte baratri.
Nello stesso momento storico, secondo alcune ricerche3,
convivono da quattro a sette generazioni. Oggi, mentre
scrivo, là fuori c’è qualcuno che si ricorda ancora delle
cabine telefoniche, e qualcun altro che non ha la più
pallida idea di come funzioni un telefono a disco.
Qualche anno fa, nella classe di una scuola elementare,
ho visto uno di quegli apparecchi dentro un armadio e mi è
venuta voglia di fare un esperimento. Ho preso il telefono
e l’ho collegato alla presa per controllare che ci fosse la
linea. Poi ho scritto il mio numero di cellulare sulla lavagna
luminosa, ho chiamato un ragazzino, e gli ho chiesto di
telefonarmi. Lui è arrivato, ha guardato l’aggeggio grigio,
e ha fatto quello che per lui – come per ogni altro bambino
della sua età – era normale fare: ha infilato l’indice nella
coroncina e ha provato prima a sfiorare il numero tre e poi
a schiacciarlo con un po’ più di energia. Ovviamente non è
successo nulla. Nel frattempo una bambina ha richiamato
la mia attenzione verso il suo compagno di banco che
stava trafficando con il suo cellulare. “Lui, lui!” – mi dice
la bambina – “Chiama lui che sa come si fa”. Lo faccio
avvicinare e gli do modo di provarci. Il bambino mette il
dito sul tre e inizia a far girare la rotella in senso orario.
La rotella compie un giro completo e poi un altro. Non si
ferma. A quel punto il bambino non sapeva più cosa fare.
Era saltato il fermo! Le istruzioni trovate su internet erano
giuste, ma non complete e l’apparecchio non poteva
funzionare.
Per chi è nato nel mondo di oggi è normale considerarlo
normale, così come lo è considerarlo “strano” per chi
questo stesso mondo l’ha visto cambiare così velocemente
da non riuscire quasi ad abituarcisi. Chi è giovane si sente
lontano da chi non lo è più (e magari ancora nemmeno lo

 

18
Giancarlo Orsini
sa) e viceversa: il nonno che racconta al nipote della sua
giovinezza; il padre che non capisce il figlio; il ventenne che
ripensa alla sua adolescenza e scuote la testa pensando
ai ‘giovani d’oggi’. Succede perché guardiamo da vicino e
soprattutto perché non abbiamo il quadro per intero. Per
quante informazioni, per quanti Terabyte di dati ci siano
oggi a nostra disposizione – probabilmente più di quelli
che siamo in grado di elaborare – il nostro cervello, o
meglio, lo schema che lo guida, non è multitasking. Non
a tutti i livelli.
Se c’è una cosa che però sa fare è connettersi. Ci
connettiamo da prima che qualcuno pronunciasse la parola
internet (1982), da prima che Martin Coopers facesse la
chiamata numero zero da un telefono mobile (1973), e
da prima, molto prima, che qualcuno si interrogasse sui
fenomeni elettrici dando poi il là a una serie di invenzioni
a cascata che oggi ci portano a preoccuparci di quanta
energia sprechiamo, e di come produrla limitando i danni
all’ambiente che ci circonda. Ci connettiamo gli uni agli
altri ancora da prima che nascessero le lingue (il cui scopo
è proprio legato allo scambio di informazioni utili prima
alla sopravvivenza e poi al benessere della specie).
Dall’osservazione del mondo e dalla connessione con il
mondo otteniamo conoscenza.
Dalla conoscenza abbiamo risorse, strumenti, e strategie
che permettendoci di scegliere ci aiutano a riconoscere e
poi evitare i pericoli, stare meglio e condividere il nostro
benessere anche cambiando qualcosa nel nostro modo di
vivere (e/o lavorare) per adattarci a quello che ci succede.
L’osservazione e la ricerca ci portano alla conoscenza.
La conoscenza ci permette di scegliere. La condivisione
e le connessioni ci rendono più forti e meno esposti.
L’adattabilità ci mette in grado di rispondere agli eventi

 

19
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
che ci riguardano direttamente e non.
Quando queste nostre capacità innate (osservazione,
ricerca della conoscenza, condivisione e connessione,
e adattabilità) si legano tra loro siamo di fronte al più
straordinario dei poteri dell’essere umano: l’empatia.
L’empatia è un potere che non è il risultato di un codice, o
di un’invenzione, e non ha niente di nuovo: è una risorsa
che l’essere umano ha dalla notte dei tempi.
Grazie all’empatia capiamo chi abbiamo di fronte perché
solo mettendoci nei panni di qualcun’altro siamo in grado
di comunicare davvero con chi ci circonda.
Grazie all’empatia possiamo trovare il linguaggio giusto
per trasmettere il nostro messaggio e fare in modo che
venga compreso.
Grazie all’empatia possiamo prima individuare e poi
provare a rispondere ai bisogni dei nostri interlocutori.
Possiamo stringere alleanze, creare gruppi, trovare e
conservare l’amore, far crescere aziende e figli, superare
ostacoli, fronteggiare emergenze, e addirittura prevedere
scenari fino a poco prima inimmaginabili. Ecco perché
anche se mi occupo di innovazione e di futuri (al plurale),
questo non è un libro sul futuro, ma sui futuri dell’essere
umano: sulle capacità che ognuno di noi ha per il solo fatto
di essere nato qui, su questo pianeta, nipote alla lontana
di pro-pro-progenitori che hanno imparato a osservare, a
cercare, a capirsi e a condividere informazioni sulla base
delle quali hanno poi costruito interi mondi.

 



L’EMPATIA È UN POTERE
CHE NON È IL RISULTATO
DI UN CODICE, O DI UN’INVENZIONE
E NON HA NIENTE DI NUOVO:
È UNA RISORSA CHE
L’ESSERE UMANO HA
DALLA NOTTE DEI TEMPI
Giancarlo Orsini

 

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BIBOP GRESTA
Con una notevole esperienza in venture capital, fi nanza, fusioni e
acquisizioni, trasporti e media, Bibop Gresta è considerata a livello
internazionale come uno dei maggiori esperti di mobilità avanzata e
tecnologie della quarta rivoluzione industriale.
Gresta è in carica di un team di 800 professionisti in 40 paesi che
coprono sei continenti. HyperloopTT è stata la prima azienda a lanciare
lo sviluppo di Hyperloop™ ed è la più grande azienda mai costruita su
un ecosistema aziendale collaborativo.
Oltre ai suoi successi imprenditoriali, è un oratore di fama mondiale su
questioni che vanno dagli investimenti a impatto alla mobilità avanzata.
Bibop ha partecipato a importanti eventi come il World Economic
Forum, le Nazioni Unite, TedTalk, è apparso sui principali media e ha
tenuto conferenze in alcune delle università più prestigiose del mondo.
hyperloopitalia.com
ENTREPRENEUR, FUTURIST,
ENTREPRENEUR, FUTURIST,
SUSTAINABILITY & MOBILITY
SUSTAINABILITY & MOBILITY
EXPERT, WEF TECH PIONEER
EXPERT, WEF TECH PIONEER
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO

 

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
2.
IL FUTURO NON ESISTE
PREDIZIONI E PREVISIONI – IMMAGINARE
IL CAMBIAMENTO – I FUTURI POSSIBILI –
STORYTELLER E COSTRUTTORI DI SCENARI –
USARE L’IMMAGINAZIONE
Prima di provare a scrivere un buon libro che parlasse
di futuri, mi sono chiesto: come si fa a scriverne uno
sbagliato?
Ci ho pensato molto. Il futuro è al centro di ognuna delle
mie attività. È un terreno che dovrei conoscere, perché
lo esploro ogni giorno e lo racconto in giro per il mondo.
Eppure, per la prima volta, devo confessare di trovarmi in
un leggero svantaggio.
Una cosa è parlare di futuro usando la voce, su un palco
ogni volta diverso, davanti a un pubblico sempre diverso.
Le parole escono dalla mia gola, attraversano l’aria,
arrivano alle orecchie di qualcuno, rimbalzano nei suoi
circuiti neurali, che si accendono e poi si spengono. Finisce
lì. Quello che le persone si portano a casa è un’esperienza,
un odore, una visione, una storia, una suggestione.
Da ognuno di quei palchi provo a raccontare le cose belle
che esistono e di cui non si parla (ancora), e quelle ancora
più belle che da qualche parte nel mondo un giovane*
startupper sta provando a far esistere. Quello che amo del
mio mestiere sul palco è il fatto di potere conversare, se
non con il pubblico di fronte a me, con il pubblico in senso
ampio. Il mio non è un monologo, perché io non sono un
attore. Sono un divulgatore, uno storyteller che prova

 

24
Giancarlo Orsini
a chiudere in poche ore il senso e l’esperienza di quegli
esseri straordinari che stanno facendo andare l’umanità
un po’ più lontano.
Ma un libro è diverso: bisogna stare attenti. Molto attenti.
In un libro – anche se questo è diverso, hai potuto vedere
– ci sono delle parole che una volta stampate restano lì
impresse, potenzialmente per sempre.
E allora il rischio di non sopravvivere al tempo che passa,
al presente che invecchia, il rischio che i colori della
copertina sbiadiscano, è alto — e io non me lo posso
permettere. Perché non mi piace scommettere: a me
piace costruire.
Ecco allora che ho capito come NON scrivere un “buon”
libro che parli di futuro. La risposta è: predicendo il futuro.
O fingendo di avere gli strumenti per poter dire: succederà
questo o quest’altro.
Eppure, la predizione è lo sport della nostra epoca. Dalla
rivoluzione industriale in poi non abbiamo fatto altro che
provare a predire i comportamenti: della materia, delle
macchine, delle persone (ci abbiamo provato agli inizi
del secolo scorso, ma per fortuna abbiamo fallito), dei
mercati, e poi di tutto il resto, grazie ai computer.
Predire è quello che ci ha portato a essere oggi così ricchi
– rispetto ai nostri antenati – così veloci, così connessi,
così ancora più profondamente e sconfinatamente umani,
oltre i limiti dell’umanità che gli uomini e le donne avevano
conosciuto fino a quel momento. Arrivando al punto di
chiedersi se questa sia ancora umanità, o sia diventata
un’altra cosa, se si sia ibridata con qualche altra forma di
esistenza.
Se siamo qui, oggi, a pensare al senso e al ruolo della
nostra esistenza come specie su questo pianeta, è proprio
grazie al fatto che il ruolo di dominatori, di controllori, di

 

25
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
predittori, ce lo siamo guadagnato (a torto o a ragione, non
è argomento di questo libro) provando a controllare ogni
singola variabile della natura, e adattandola alle nostre
esigenze di specie prima e individuali poi. Smussando
qualunque cosa non rientrasse nei nostri piani: dalla
foresta amazzonica ai contorni delle aiuole.
Eppure, tutto il lavoro fatto finora continua a non essere
futuro. È solo uno sforzo colossale di continuare a vivere
un certo tipo di presente.
Il futuro è un’altra cosa, e non basta la somma dei
‘presenti’ per stabilire cosa accadrà e come: il mondo
continua a essere un sistema complesso di sottosistemi
che interagiscono (e a volte collidono) tra loro: le leggi che
li governano sono controintuitive, quasi mai sono razionali,
e mai si può modificare un sistema senza che gli effetti
si ripercuotano su tutto il resto, con effetti incalcolabili e
dunque inaspettati.
Per quanto avanzato possa essere l’ultimo prototipo
di intelligenza artificiale, per quanto avanzati possano
essere i nostri algoritmi, il futuro è un pezzo della realtà
che non possiamo conoscere prima di esserci dentro.
Ha il piccolo vizio di essere… capriccioso. Mettiamo
il casco quando saliamo su una moto, o la cintura di
sicurezza quando entriamo in macchina, non perché non
siamo capaci di arrivare a destinazione senza sbattere, ma
perché sappiamo che il nostro controllo è limitato a una
serie di fattori troppo piccola per essere assolutamente
certi che non sbatteremo.
Abbiamo un esercito addestrato e funzionante anche in
tempi di pace perché l’equilibrio tra le nazioni è fragile e
necessita di costante manutenzione.
Giochiamo schedine con probabilità di vittoria di uno su
miliardi non perché sappiamo che accadrà, ma perché

 

26
Giancarlo Orsini
è possibile. Un incrocio maledetto, un uragano, una
rivoluzione politica, una serie di numeri casuali ma
azzeccati: nonostante abbiamo raffinato degli strumenti
avanzatissimi per provare ad approssimarlo, il futuro
è incerto perché ci mancano le variabili per costruire
i modelli che tengano presente dell’irrazionalità degli
individui, o la semplice casualità della natura.
Forse è giunta l’ora, dunque, di rassegnarci al fatto che il
futuro non esiste.
Dobbiamo allora rassegnarci a vivere il presente, come
dicono i saggi orientali? Certo che no.
Vivere il presente e restare fermi a osservare il ritmo del
respiro può aiutare a calmare i pensieri al termine di una
giornata stancante, ma se tutti i nostri antenati si fossero
accontentati del presente intorno a loro, noi vivremmo
ancora nelle caverne.
Chi fa previsioni spesso sbaglia (altroché se sbaglia, basta
guardare le previsioni del tempo) ma anche se esistesse
qualcuno (o qualcosa) capace di prevedere il futuro, forse
questa sarebbe la più grande maledizione di sempre.
Se un costosissimo e accuratissimo programma mi
dicesse che perderò tutti i miei soldi puntando sul Rosso
alla Roulette in un casinò di Las Vegas, probabilmente
mi terrei lontano dalle roulette e forse anche da Las
Vegas. Ma se sapessi che un giorno morirò in un incidente
d’auto, metterei più piede su una macchina? La mia vita
cambierebbe, probabilmente salirei su un cucuzzolo di
montagna e smetterei di girare il mondo, abbandonando
la vita che oggi – per me – vale la pena vivere. Se sapessi,
a ogni passo, la probabilità di cadere e farmi male,
camminerei ancora? Se sapessi, in ogni momento, la
probabilità di ammalarmi, continuerei a vivere?
Eppure è quello che facciamo. Stiamo scommettendo

 

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tutte le risorse che abbiamo – e anche quelle che non
abbiamo, cioè quelle che spetterebbero di diritto alle
generazioni future – su numeri che siamo sicuri non
vinceranno mai e poi mai.
È inutile cambiare, pensano ormai in molti, perché le
previsioni sono nefaste.
Stiamo giocando a un gioco pericolosissimo. Predire un
comportamento significa influenzare il comportamento
anche senza volerlo. Continuando a dirci che il mondo è
un malato terminale, ci stiamo incastrando ancora di più
in una emergenza dalla quale è già difficile uscire.
Se il cambiamento arriva, non è
perché ce l’hanno detto le macchine.
Il cambiamento, noi, dobbiamo volerlo.
E per volerlo dobbiamo immaginarlo.
COME PENSIAMO IL FUTURO
È GIÀ IL FUTURO.
Lo spazio tra dove siamo e dove andremo, è allora uno
spazio della fantasia, ancora prima che della scienza. Dove
per fantasia non intendo uno spazio delle favole Disney,
ma quello spazio mentale infinito che gli esseri umani
portano nella propria testa, sotto forma di immaginazione.
I vuoti della scienza, da sempre, li ha riempiti la creatività.
Quando non c’era la fisica, ci bastavano i miti. Quando non
ci bastava la scienza per spiegarci i perché della terra,
ecco arrivare la narrazione. E poi il cinema, la letteratura,
le serie tv, l’arte – persino lo sport.
Tutti a giocare di anticipo e contemporaneamente

 

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Giancarlo Orsini
attizzare la scienza che ha seguito le tracce lasciate
aperte dall’immaginazione, trovando sia conferme che
disconferme.
L’esempio che sto per fare è fin troppo banale, ma lo uso
comunque: il fatto che esistano dei robot capaci di vedere,
capire e agire, non significa che stermineranno il genere
umano; così come il solo fatto che esista una bomba
nucleare capace di annientare un’intera nazione in pochi
minuti, non significa che verrà utilizzata.
La Storia lo ha dimostrato: Il futuro non esiste. Perché
il futuro non è una somma algebrica di tutto quello che
siamo, e che per forza di cose dovremo continuare a
essere.
Il futuro è uno sforzo collettivo, che prende direzioni
imprevedibili, ma modificabili. Questa è la chiave. Esistono
i futuri, e quello che dovremmo fare non è passare le
nostre serate sul divano, davanti alla tv, a credere che le
serie TV distopiche siano predizioni di quello che accadrà.
Dovremmo iniziare a immaginare con la stessa fervida
fantasia futuri alternativi. Valutarli, discuterli, sceglierli, e
infine lavorare per costruirli. Insieme.
Prendo in prestito un diagramma dal futurologo Stuart
Candy.
diagramma Stuart Candy

 

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Ecco spiegato perché il futuro non esiste: perché di
futuri ne esistono molti. Alcuni sono impossibili (fuori
dal cono grande: un futuro in cui gli esseri umani vivano
su un altro pianeta senza un’atmosfera respirabile non è
possibile), altri sono possibili (tutti quelli all’interno del
cono grande), ma la maggioranza di questi esiste solo
nella nostra immaginazione. Poi esistono quelli probabili:
la direzione più probabile verso la quale stiamo andando
(è probabile che in un futuro prossimo ci possa essere il
crollo di qualche moneta, ma non che si smetta di usare i
soldi come base per gli scambi).
L’utilità di questo schema è quella di distinguere della
marea di futuri possibili quelli verso cui stiamo andando.
E capire quanto si discosta, come e perché da quelli che
vorremmo (preferable).
All’interno del possibile, c’è tutto quello che possiamo
essere a partire da oggi, da noi, da quello che siamo.
C’è dentro la più orribile delle distopie, e il futuro più
prospero che possiamo permetterci. C’è la pace e la
guerra, l’annientamento e la coesistenza pacifica. Ma, sia
ben chiaro, lo scenario probabile è un’eventualità, non è
una certezza. Fare jogging significa poter inciampare, ma
continuiamo a tenerci in forma, per fortuna.
Abbiamo la possibilità di scegliere cosa vogliamo, ogni
singolo giorno.
La costruzione di scenari è lo strumento
vero che ci permette di valutare
cosa può farci bene e cosa no.
È solo iniziando dalla fine con una dichiarazione
inequivocabile su quello che vogliamo (per esempio:
l’umanità ha bisogno di un mondo senza plastica) che si

 

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Giancarlo Orsini
può valutare quanti sforzi e quali servano per virare in
quella direzione. Restare a piangere sui mari inquinati di
plastica, non toglierà la plastica dai mari.
L’umanità che conosciamo oggi è arrivata a controllare
la vita su questo pianeta anche per la sua capacità di
raccontarsi storie.
Siamo diventati abilissimi storyteller.
Non ci è bastato sviluppare un sistema di comunicazione
per avvisare i vicini di capanna che una belva feroce
stava arrivando a mangiarci tutti; non ci è bastato parlare
quel minimo necessario per trovare un compagno o una
compagna, e continuare la specie. Abbiamo iniziato a
raccontarci storie intorno al fuoco perché passassero
prima e meglio le lunghe e fredde notti, ma anche per
stare in circolo a esplorare quello che era possibile –
costruendolo dapprima con il potere dell’immaginazione e
poi trasferendolo nell’immaginazione degli altri attraverso
le parole -; ed è lì che abbiamo scoperto il futuro che si è
poi realizzato. Un futuro senza fame, senza carestie, senza
malattie che ogni quindici anni spazzavano via fette intere
di popolazione.
La letteratura o – in maniera più rilevante al giorno d’oggi
– il cinema e le serie TV, hanno perso questo potere
immaginifico. Il panorama è un’offerta quasi unica di
futuri in cui nessuno sano di mente vorrebbe mai vivere.
Sia chiaro: Black Mirror, Terminator, Matrix NON sono il
problema. Anzi: sono tra i mezzi più potenti che abbiamo
per provare a restare alla larga da un mondo (e un’umanità)
nel quale non vale la pena di vivere.
Il problema è quando Black Mirror viene preso come un
comandamento scritto su pietra sul come, data una certa
tecnologia, avremo come risultato un dato futuro.
Si parla così tanto di distopie non perché ci siamo più

 

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vicini di altre epoche della storia (anzi, non ne siamo mai
stati così lontani), ma solo perché questi prodotti sono
commerciali e obbediscono a regole commerciali: chi
pagherebbe mai per guardare una serie TV ambientata in
un futuro bellissimo e piatto dove tutti sono felici e vanno
d’accordo e non ci sono problemi? Io no.
Black Mirror (o chi per essa) è un buon modo di passare
il sabato sera in compagnia, ma non è un periscopio sul
futuro.
Stiamo vivendo una grande crisi, questo è certo. Il
cambiamento climatico è sicuramente una minaccia
esistenziale. La nostra società è fatta di individui
scollegati tra loro, sempre più incapaci di trovare spazi
comuni di esistenza. Siamo, forse, in troppi su un pianeta
troppo piccolo. E – non è colpa di nessuno – ma se non
c’è spazio per i corpi non c’è spazio nemmeno per i sogni.
Un’intera generazione sta crescendo distratta, impaurita,
con in testa un unico orizzonte: il mondo che tutti i nostri
progenitori hanno potuto vivere, modellare e dominare,
a loro viene negato. Ma la peste nera non era una crisi
meno grave. La guerra fredda lo era altrettanto. Vogliamo
parlare delle due guerre mondiali degli ultimi cento anni?
Eppure siamo qui.
Questo non vuol dire che sarà facile. Anche perché se
la posta in palio, all’epoca, era la cancellazione di una
generazione, ora sembra essere la cancellazione delle
generazioni future. La differenza è che oggi abbiamo
smesso di parlare dei nostri futuri come di possibilità.
Abbiamo perso le speranze, perché continuiamo a
raccontarci che non c’è speranza. Abbiamo iniziato a
trattare le previsioni come certezze. Come dice Fredric
Jameson, “è più facile immaginare la nostra fine, che non
un’alternativa al nostro modo di essere”.

 

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Giancarlo Orsini
Le distopie sono un finto problema,
perché il problema non è cosa immaginiamo,
ma come lo immaginiamo.
Esplorare i futuri nel cono delle possibilità ci fa bene. Non
dobbiamo averne paura, perché ci aiuta a capire da cosa
stare alla larga.
È solo usando l’immaginazione che ci possiamo permettere
di esplorare nuove prospettive da cui guardare ai nostri –
intricatissimi – problemi.
Ridefinire il nostro rapporto con la realtà è la vera
emergenza.
Iniziare a parlare di futuro, a immaginarlo, a costruire delle
visioni, a catalizzare persone intorno a queste visioni, a
ragionarci, a dibattere, a sceglierle – per quanto faticoso
possa essere – sarà sempre meglio di lasciare che un
futuro qualsiasi semplicemente accada.

 



L’OVVIO DI OGGI
È SEMPRE STATO
L’IMPOSSIBILE DI IERI
Giancarlo Orsini

 

Ingegnere meccanico con tesi di Master svolta alla Pitt University
di Pittsburgh (Pennsylvania, USA) e un dottorato in Materiali per
l’Ingengeria all’Università degli Studi di Brescia, con una ricerca sui
nano-composti inorganici per materiali compositi.
Ex rugbysta e padre di 3 bellissimi fi gli, Stefano ha sviluppato quattro
tecnologie uniche nel panorama delle costruzioni mondiali, tra cui
ARMOX®, il primo intonaco strutturale per il consolidamento sismico di
edifi ci in muratura e pietra, che gli ha permesso di vincere, tra l’altro, la
Startup Challenge del World Materials Forum di Nancy nel 2019.
trimaterials.com
CEO DI TRI SRL
CEO DI TRI SRL
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Giancarlo Orsini
STEFANO SACRATO

 

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3.
E SE DOMANI…
ABBIAMO SEMPRE AVUTO PAURA DEL
PROGRESSO – CI FIDIAMO DEI ROBOT?
– CARROZZE SENZA CAVALLI E VEICOLI
SENZA CONDUCENTI – LA RESISTENZA AL
CAMBIAMENTO – INTELLETTI SINTETICI
E INTELLIGENZA UMANA – SEI PAURE SUL
FUTURO E ALTRETTANTI #THINKDIFFERENT
– FUTURO E/O DESTINO?
Do you trust this computer? è il titolo di un film-
documentario sull’Intelligenza Artificiale, uscito nel
20184.
Ti fidi del tuo computer?
La domanda sembra essere retorica, e la risposta scontata:
no, che non mi fido.
Chi è che si fiderebbe?
A pensarci bene, è una domanda strana. Una domanda
che potrebbe anche non avere senso, se vista da una certa
prospettiva.
Nei secoli passati, per esempio, ci siamo mai chiesti se
potevamo fidarci delle abitazioni, o se non fosse più sicuro
restare nelle caverne? Se potevamo fidarci dell’arco, delle
strade, dell’aratro, del telescopio, della stampa, della
locomotiva? Magari ne abbiamo avuto paura.
Abbiamo avuto paura del ponte perché ci faceva
camminare sul vuoto.
Abbiamo avuto paura del telescopio perché ci faceva
vedere qualcosa di lontano, lontanissimo, al di fuori

 

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Giancarlo Orsini
del nostro pianeta, che metteva in crisi tutto il sistema
consolidato di conoscenze e credenze.
Nella storia dell’umanità, ogni qualvolta una novità
tecnologica è stata introdotta, c’è sempre stato qualcuno
che ne ha spiegato i benefici e qualcun altro che ne ha
sottolineato i rischi: questa innovazione potrebbe essere
utilizzata così e così, ma anche così e così…
È celebre la storia dell’astronauta statunitense John Glenn
che, prima di sentirsi pronto a partire con la Missione
Mercury, volle che Katherine Johnson, allora calcolatrice
delle orbite per la NASA, controllasse “a mano” i dati già
elaborati dal computer.
Ora però, entrati nel XXI secolo, le cose sono un po’
cambiate. Ci sono delle componenti in più, dei fattori
veramente nuovi. C’è stato un salto di livello. Le macchine
che progettiamo e utilizziamo sono diverse da quelle del
passato.
Le Intelligenze Artificiali sembrano vive. Sembrano
umane. Ci sono robot umanoidi, bellissimi come top model,
sensibili e gentili, capaci di conversare naturalmente
con noi attraverso le chat box, capaci di darci consigli
appropriati su cosa è meglio indossare, comprare,
mangiare, bere, ascoltare, vedere e fare. Robot, appunto,
intelligenti, ovvero che sanno svolgere certi processi
intellettuali, di codifica dei dati, e di elaborazione degli
stessi, che sembrano (e sono davvero) impossibili per noi.
Il comportamento di questi sistemi si basa sull’analisi
dell’ambiente circostante e sulla successiva capacità
di compiere, in base ai dati ricavati, delle scelte “in
autonomia”. Tutto qui.
L’autonomia della quale dispongono è limitata agli
obiettivi che i programmatori hanno previsto per loro.
Eppure l’impressione è che siano simili, troppo simili

 

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alle persone in carne e ossa (a volte nell’aspetto, ma
soprattutto nel comportamento), tanto da arrivare a
chiederci se possiamo fidarci.
Ci fidiamo di questi umanoidi?
Sapete che c’è? Io non voglio rispondere a questa
domanda. Perché? Perché mi sembra mal posta.
Mettiamola
così.
Avremo
lo
stesso
paura
delle
macchine se queste, al posto di vedere, codificassero
semplicemente delle frequenze elettromagnetiche? Se, al
posto di ascoltare e parlare, traducessero semplicemente
in un linguaggio prestabilito delle onde meccaniche e
viceversa? Se, al posto di apprendere, incrociassero
semplicemente n-byte di dati messi loro a disposizione
da un dato insieme, in vista di un risultato programmato?
Le parole che utilizziamo per descrivere le cose
influenzano la nostra percezione del reale.
Anche lo stesso termine “intelligenza artificiale” può
spaventare per via della parola intelligenza, che si pensava
predominio dell’essere umano, a volte concessa, spesso
solo in senso metaforico, agli animali o alle piante.
Quando vennero introdotte le prime automobili, si parlò
di “carrozze senza cavalli”. Era una cosa contro natura,
spaventosa. Oggi si parla di “veicoli senza conducente”,
che saranno come dei salottini da tè viaggianti, senza
volante né pedali, senza uno spazio dedicato alla guida,
che sarà quindi del tutto automatizzata (in fin dei conti
non è diverso dal salire sulla metropolitana: chi ha mai
visto il conducente?). E si dice che, senza l’essere umano
al volante, questi veicoli saranno delle mine vaganti,
addirittura dei teppisti della strada che “decideranno” in
totale autonomia se investire un pedone o un ciclista5.
In realtà non ci “fidiamo” perché abbiamo paura di
quello che questi robot potrebbero fare, di quello che

 

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Giancarlo Orsini
potrebbero diventare, imparare. Non sappiamo di cosa
siano “realmente capaci”.
Non ci “fidiamo”, perché non li conosciamo. E questo
non è un problema da poco. L’innovazione, nonostante
la tendenza alla trasparenza e alla condivisione che
spesso e volentieri l’accompagna, va di pari passo con
l’iper-specializzazione. È un lavoro di squadra. Il sapere
contemporaneo è per forza di cose un sapere condiviso
e collettivo. E il singolo, spesso, non ha accesso alla
comprensione globale di quello che gli sta di fronte.
Conosce solo un pezzetto del meccanismo, quando gli va
bene. Pochi, tra di noi, sanno come funzionano davvero i
device che usano tutti i giorni.
E allora, facciamo resistenza.
Perché davanti all’ignoto, prima di tutto, ci si arresta.
La faccenda ha anche un altro lato della medaglia, cioè
quello che tocca, e dal vivo, gli innovatori perché ognuno
di loro incontra una serie di rifiuti.
Lo spiega bene Kenneth Blanchard, co-autore di “One
Minute Manager” e di diversi altri studi sul cambiamento.
Nel suo “Metti in pratica quello che sai”, Blanchard parla
dei sei momenti che vive chi prova a innovare:
1. rifiuto;
2. resistenza parziale;
3. accettazione parziale;
4. accettazione totale;
5. assimilazione parziale;
6. assimilazione totale.
Al primo blocco (il rifiuto), la maggior parte degli innovatori
si ferma e smette di provarci. Sono in pochi a resistere
dopo il secondo e ancora meno a insistere dopo il terzo.
Chi va avanti dopo uno, due o tre rifiuti, rappresenta

 

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una percentuale minima, così piccola da diventare
un’eccezione. I primi tre passaggi inchiodano la maggior
parte di noi, ma oggi abbiamo la possibilità di superare
l’ostacolo, anzi gli ostacoli, facendo fare ai computer
e all’intelligenza artificiale quello che fermerebbe noi.
Se un algoritmo riceve un rifiuto, non si offende. Non
si demoralizza. Noi sì, ed ecco che la debolezza degli
intelletti sintetici, cioè la loro mancanza di umanità, può
diventare una leva a nostro vantaggio.
La resistenza al cambiamento è umana, ed è una
questione di sopravvivenza. Lo abbiamo imparato a nostre
spese nel corso dell’evoluzione. Abbiamo imparato, per
esempio, che certe erbe erano commestibili e certe altre
velenose, anche letali. A un certo punto, ci siamo resi conto
che, se non sappiamo che cos’è, è bene non mangiarlo.
Quello che sembra essere in gioco, oggi, è la centralità
dell’essere umano nel processo produttivo, creativo,
ideativo. L’uomo al centro del mondo. Cioè, a volte, si ha
l’impressione che le macchine – da noi stessi costruite –
possano rubarci quello che ci distingue da tutti gli altri
esseri viventi: l’umanità; che possano simularla alla
perfezione, ingannarci e utilizzare le nostre stesse facoltà,
ma per i loro scopi.
Ma è davvero così?
Basta avere la forma di una bellissima donna, chiamarsi
“Sophie”, essere in grado di ricordare, gestire una
conversazione, guardare negli occhi il proprio interlocutore,
per essere una donna? Basta essere in grado di ricevere
ed elaborare informazioni per essere un cervello?
Non è una domanda semplice alla quale rispondere, ma
allo stato dei fatti mi sento di rispondere serenamente
con un bel NO.
Primo,
questi
robot
multifunzione,
bravissimi,

 

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Giancarlo Orsini
preparatissimi, scolari da premio, studenti modello,
cervelloni ecc. non sono creature piombate da un altro
pianeta per invadere la Terra. Le abbiamo costruite noi. Le
stiamo costruendo noi. Noi le gestiamo, le programmiamo,
le possiamo spegnere. Possiamo far fare loro tutto quel
che vogliamo (o che possiamo immaginare di far fare loro).
Loro invece non possono fare quello che vogliono. Non
possono fare quello che non vogliamo che facciano.
Anche se, a volte, sembra il contrario: l’assistente vocale ci
sveglia dicendoci “buongiorno”, ci dice che fuori potrebbe
piovere e quindi ci “salva”, ricordandoci l’ombrello e le
scarpe impermeabili, poi ci consiglia di cambiare strada
perché prevede degli ingorghi, ci manda dei messaggi
mentre siamo a lavoro dicendo “mi manchi”6…   l’assistente
vocale ci seduce, è sexy, ci sussurra: “darling…”7, poi ci
invia la pubblicità di un prodotto di cui avevamo parlato
ieri sera con un amico a cena…
… non nego che, a un certo punto, ci si potrebbe ritrovare
a guardarlo/la storto.
Cosa essere tu?
Bene, proprio come il Brucaliffo di Alice, lo smartphone, o
qualsiasi altro device “intelligente” che ci parla (sembra
parlarci), ci ascolta (sembra ascoltarci), ci influenza
(sembra influenzarci), non è altro che un prodotto della
nostra immaginazione.
Siamo noi che abbiamo inserito i dati nell’agenda perché
li combini in un certo modo, e ci aiuti a ricordarci di fare
quello che dobbiamo fare. Noi abbiamo immaginato
quello che avrebbe fatto per noi, per poi dimenticarcene.
Quando poi il device esegue, sembra che l’abbia fatto
coscientemente o volontariamente, di sua spontanea
volontà, ma siamo noi che ci siamo dimenticati (come da
programma) di quello che ora lui (o lei) viene a ricordarci.

 

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Non so se mi sono spiegato…
Eppure, ci sembra di essere circondati, di non avere più
scampo. L’altoparlante è in grado di parlare e di ragionare.
Il motore di ricerca anticipa i nostri desideri, sa già quello
che vogliamo trovare. Sa più cose di noi. Come fossero
poltergeist, le tende della finestra si aprono da sole alle
6:25 del mattino per fare entrare la luce del giorno. Poi
lo smartphone, sul tavolo, si mette a vibrare, cammina da
solo, si avvicina mentre si illumina e ci porge la scritta:
mamma…
La paura è una componente essenziale dei nostri processi
cognitivi. Ci avvisa di un pericolo potenziale. E quindi ci
porta a elaborare delle strategie. Ci porta a sopravvivere e
a migliorare.  Grazie alla paura, ci siamo adattati al mondo
e continuiamo a farlo.
Avere paura è naturale e, da un certo punto di vista,
anche sano. Se non avessimo paura, accarezzeremmo le
tigri, ci sporgeremmo dalla finestra fino a cadere di sotto,
guideremmo a 220 km/h senza cintura di sicurezza sul
primo rettilineo a disposizione, salteremmo nel vuoto
senza paracadute perché là sotto è bellissimo… in poche
parole ci estingueremo nel giro di pochissimo tempo.
Invece, il nostro cervello, in certe situazioni, prende il
controllo, organizza quello che sembra un ammutinamento,
e ci indica il pericolo. Non ci possiamo fare nulla, neanche
volendo. Charles Darwin fece, a questo proposito, un
esperimento. Si recò al Giardino Zoologico di Londra e
provò a restare impassibile mentre, di là da un vetro, un
serpente velenoso veniva scagliato contro di lui. Non era
possibile. Pur essendo al sicuro dietro la protezione, la
sua muscolatura si contraeva, e la sua faccia dimostrava,
esprimeva tutto il terrore che provava8.
Forse, è tutto qui. Niente di nuovo, direi. Ma il terrore fa (ha

 

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Giancarlo Orsini
sempre fatto) sensazione. Così si racconta che Stephen
Hawking avrebbe detto che l’Intelligenza Artificiale
distruggerà il mondo, e si preferisce sottolineare questo
passaggio, quando il fisico in realtà ci stava mettendo in
guardia dai rischi connessi a un eventuale utilizzo distorto,
spregiudicato, criminale di una tecnologia così potente9.
Sfumature di questo tipo si possono comunque trovare,
spesso più a ragione che a torto, nelle dichiarazioni di
altri grandi protagonisti del nostro tempo, da Elon Musk10
a Jerry Kaplan (“…in un batter d’occhi potrebbero [le
Intelligenze Artificiali, N.d.A.] gettare il mondo nel caos
spegnendo la rete elettrica, sospendendo tutti i decolli
aerei, cancellando milioni di carte di credito.”11 ), a Nick
Bostrom 12, eccetera…
Allora, quello che mi chiedo è: a furia di proiettare in avanti
scenari catastrofici e apocalittici, non sarà che l’idea del
futuro si è un pochettino, come dire, sclerotizzata?
Se passo la vita ad aver paura di qualcosa, a immaginare
come sarà devastante questo qualcosa quando arriverà, e
via dicendo, non è che alla fine “questo qualcosa” lo faccio
arrivare davvero? Dove impiego le mie migliori energie?
Scappare dal futuro, signori, non si può.
Per il momento, il tempo sembra essere l’unica delle
quattro dimensioni fisiche osservabili che non permette
di essere percorsa in senso inverso.
Quindi, si va avanti, anche se: chi (non) ha paura del futuro
alzi la mano!
Io credo nell’umanità.
Credo nella sua capacità di ragionare, di comprendere,
di rivedere un giudizio affrettato. Ovvero, credo
nell’intelligenza dell’umanità. Nella Natural Intelligence.
E credo che l’Intelligenza Artificiale non sia altro che

 

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un’estensione di quella umana, un suo prolungamento e
potenziamento, non altro.
Essere umano e macchina non sono
mai stati in competizione.
È una cosa che mi sta molto a cuore. Perché se si sblocca
questo passaggio, questo tentennamento, allora la strada
è in discesa.
La macchina non è un nostro competitor,
perché non è un soggetto.
Tutto qui. Se pensiamo alle architetture di calcolo,
esse non sono altro che delle integrazioni delle nostre
facoltà umane; se le riproducono a un livello a dir poco
impressionante, è perché da noi derivano, e sono – in un
certo senso – parte di noi.
Pensaci. Se fossero “alieni”, non ci servirebbero,
probabilmente, a nulla. Tutta la loro potenza si
concentrerebbe su altre cose, su obiettivi “alieni”, ovvero
non-umani. Se, per assurdo, una roccia fosse in grado di
creare una “Artificial Rocky Intelligence”, questa farebbe
gli interessi della roccia e non dell’uomo.
Voglio fare una prova. Indicherò alcune tra le paure oggi
più diffuse, legate al futuro. Vogliamo vedere che ognuno
di questi problemi-paure non è altro che una domanda
mal posta? Ecco qualche esempio random tra i più quotati
nelle classifiche del momento.

 

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Giancarlo Orsini
1. E SE DOMANI…  IL SIGNOR BOT
#666 MI LICENZIASSE IN TRONCO?
Questo problema riguarda la sopravvivenza, del singolo
e della specie. Abbiamo paura di essere tagliati fuori. Si
dice: le macchine ci ruberanno il lavoro. Io vi dico una
cosa: lo stanno già facendo. Gli “operai artificiali” esistono
già. E funzionano benissimo. Svolgono le loro mansioni
come nessun uomo o donna potrebbe fare (o a volte forse
potrebbe fare, ma a costo di rovinarsi la vita e la salute).
La differenza è che questi operai non hanno nessun diritto,
ma solo doveri, anzi nemmeno doveri: soltanto mansioni
da eseguire.
Sono schiavi, in un mondo dove la schiavitù è quasi
ovunque abolita. Eppure, da un sondaggio condotto dalla
SWG nel 2019 risulterebbe che il 42% degli italiani ha
paura che l’A.I. farà proprio questo: ruberà il lavoro.
Il dato, per certi versi sconcertante, è che se si considerano
i manager, i top manager o gli imprenditori (coloro cioè
che potrebbero decidere di investire in innovazione) la
percentuale degli scettici, o dei titubanti, sale13.
… Think different #1
L’operaio artificiale intelligente è stato “assunto” da un
essere umano. Perché il sistema del lavoro è una necessità
esclusivamente umana.
Nessuna macchina ha bisogno di lavorare.
La macchina intelligente ci serve (in tutti e due i sensi: ci
aiuta ed è un “servo”). E noi la utilizziamo.
Una macchina non potrà mai licenziarci, perché senza la
guida dell’uomo la macchina non lavora e, soprattutto,
non ha nessuna aspirazione a migliorare la propria
esistenza.
Faremmo meglio a concentrarci su come imparare a

 

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occuparci di faccende e lavori così umani che nessun
computer potrà mai portare avanti.
In altre parole: è ora di pensare, oggi, a cosa faremo
domani. E quindi è ora di prepararci.
2. E SE DOMANI… I SOCIAL NETWORK
MI LEGGESSERO NEL CERVELLO?
Vi do una notizia: succede già, probabilmente succederà.
E non sto parlando di Cambridge Analytica, che è una
questione soprattutto legale. Già si cominciano a vedere
nuove, incredibili frontiere nell’interazione tra onde
cerebrali, interfacce neurali e Internet14.
In tanti lo dicono e lo credono: il Grande Fratello è qui con
noi. In un certo senso, hanno ragione. Solo che il Grande
Fratello è tutti noi… un po’ come lo Stato che è composto,
sì, dai governanti, ma soprattutto dai cittadini.
… Think different #2
È questione di controllo, sì.
Il discrimine è tra l’essere controllati senza sapere da chi
né perché, lasciando fare ad altri, oppure controllarsi e
controllare.
La differenza sta, probabilmente, nella forma della
società futura che abbiamo in mente, perché i nostri
dati già vengono presi e verranno presi, analizzati,
registrati, elaborati; siamo noi stessi a fornirli, qualunque
operazione digitale facciamo.
E allora, vogliamo una dittatura dei Big Data, nella
quale – teniamolo a mente – non sarebbero comunque
le macchine ad avere il controllo, ma un manipolo di
ingegneri, designer, imprenditori ecc. (e quindi uomini),
che controllerebbero la maggior parte dei sistemi,
oppure vogliamo una democrazia partecipativa, una

 

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Giancarlo Orsini
democrazia digitale, viva grazie ai sistemi di connessione
e condivisione orizzontali?
3. E SE DOMANI…  IL BOT SI

FACESSE CHIAMARE GOD?
Oh my God!
Niente paura. Se parliamo in termini di potenza e sapienza
le Intelligenze Artificiali già ci superano.
La capacità di apprendimento delle A.I. è straordinaria.
Il nuovo computer quantistico di Google (2019) sembra
avere eseguito in 3 minuti calcoli che avrebbero richiesto
altrimenti 10.000 anni15.
… Think different#3
Avere a disposizione e gestire infiniti dati non significa
ancora conoscere.
Queste macchine potranno anche stilare autonomamente
dei report, potranno dare delle “interpretazioni” dei
dati dei quali dispongono, potranno anche trovare più
velocemente nuove soluzioni (scientifiche, mediche,
tecniche), ma le loro “deduzioni” rimarranno false, o per
lo meno inutili, fino a che un essere umano non le avrà
lette, capite, e indirizzate verso uno scopo specifico.
4. E SE DOMANI…  LE MACCHINE
DECIDESSERO PER NOI?
Problema dell’etica.
La macchina non prova dolore, non sente rimorso, non ha
paura. È questo che ci spaventa. Essere di fronte a un
nemico sentimentalmente freddo, a un’intelligenza spietata.
Davanti a un dilemma etico, una macchina come si
comporterebbe?
Non come un essere umano.

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
Se dovesse scegliere tra la vita e la morte di un malato
terminale, tra far nascere o meno un bambino affetto da
un certo tipo di patologia ecc.
… Think different #4
L’etica è legata all’educazione. La tecnologia, se pur può
essere intelligente, non ha il senso morale. Se un device è
programmato da un criminale sarà criminale.
È sempre l’uomo che imposta la qualità, l’orientamento
delle cose. Questo punto è responsabilità nostra. Le
macchine non c’entrano; fanno solo e faranno soltanto
quello che noi diciamo e diremo di fare loro.
Abbiamo toccato un punto importantissimo: ne parleremo
ancora, nel capitolo 12.
5. E SE DOMANI…  LE MACCHINE SI
COALIZZASSERO CONTRO DI NOI?
Abbiamo paura che le macchine ci sostituiscano: umanoidi
così somiglianti all’uomo da potersi mescolare tra la folla
senza essere riconosciuti, agendo indisturbati16.Se queste
macchine trovassero il modo di bypassarci, comunicando
tra di loro, che cosa succederebbe?
… Think different #5
Non sono le macchine che si coalizzano tra di loro, ma siamo
noi esseri umani che cerchiamo il modo perché  lo facciano.
È sempre stato così. Leonardo da Vinci studiava,
osservava gli uccelli e pensava a come far volare l’uomo,
cercando di rubare il segreto delle ali. Ora noi facciamo
lo stesso osservando gli sciami (swarm intelligence),
la cooperazione tra gli animali in natura, e cerchiamo di
progettare dei robot in grado di riprodurre questo tipo di
comportamento, perché l’unione fa la forza.

 

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Giancarlo Orsini
6. E SE DOMANI… LE MACCHINE NON
SI VOLESSERO PIÙ SPEGNERE?
… Think different #6
È presto detto: taglieremo la spina.
È un classico all’inverso. Quante volte abbiamo sentito
raccontare dello sprovveduto che si lamenta: il computer
non mi si accende! E il tecnico, per prima cosa, che chiede:
signore, ha attaccato la spina?
7. E SE DOMANI… LE MACCHINE
MI FERMASSERO?
Se il confronto con le intelligenze artificiali e la potenza
dell’innovazione ci facesse passare la voglia di provarci?
Se davanti “alle macchine”, ci sentissimo troppo piccoli?
Se per paura di fallire, smettessimo di sognare?
#Think different #7
Ci sono solo tentativi non riusciti e l’unico vero fallimento
è la rinuncia.
Potrei continuare. Ma quello che voglio aggiungere è
che i problemi hanno tutti una soluzione, altrimenti non
sarebbero problemi.
Ogni problema non è che una soluzione
mascherata. O una domanda che non trova
risposta perché non è stata posta bene,
perché parte da presupposti “sbagliati”.
Siamo portati a immaginare, a vedere il futuro, a inventarlo.
Facciamo proiezioni che si risolvono spesso in modelli di
catastrofi.

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
Ci sono centinaia e centinaia di film e di trasmissioni
televisive che ci raccontano gli tsunami e i terremoti più
devastanti di sempre che stanno per accadere.
Il pianeta funziona in un certo modo, si dovrebbe sapere.
Quello che fa la differenza è come proviamo a rispondere
nei confronti di quello che non potrà non accadere.
Per restare in tema, facciamo il parallelo fra il Giappone
e l’Italia, due territori altamente sismici. I giapponesi
resistono senza quasi battere ciglio a scosse di gradi
elevatissimi di magnitudine. Sanno di essere un paese
sismico, sanno che il loro futuro comporterà un terremoto,
tanti terremoti, e quindi si attrezzano per fronteggiarli,
perché al momento non possono né evitarli né prevederli.
E noi? Abbiamo scelto, o ci siamo trovati a vivere, sulle
pendici dei vulcani, a cavallo delle faglie della crosta
terrestre, in città antichissime, bellissime, piene di arte e
cultura, di storia, di tradizioni, che fanno sì che l’Italia sia
quella che sia.
Se abitiamo in certi luoghi, sappiamo benissimo che cosa
ci attenderà. La terra tremerà e (se non ci impegniamo
da subito per un futuro diverso, per il nostro futuro) certe
case verranno giù.
Spesso si confonde il futuro con il destino.
Al posto di rassegnarci o di fuggire, dovremo pensare
invece di non rinunciare a vivere e a lavorare dove più ci
piace, ma di integrarci con la natura, che a volte ci dà una
scossa per ricordarci che esiste.
Il futuro andrebbe preso un po’ come un terremoto: okay
che non sappiamo prevedere quando arriverà il prossimo,
ma sapendo che prima o poi capiterà, possiamo prevenirlo.
I metodi ci sono già, e ci saranno.
L’ovvio di oggi è sempre stato l’impossibile di ieri, lo

 

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Giancarlo Orsini
dico sempre e lo ripeto in continuazione perché tutto
ciò che ieri sembrava impossibile, e che era forse anche
impossibile da immaginare, oggi è una realtà, o sta per
diventarlo. Il progresso ha ormai una velocità di crescita
non più lineare, ma esponenziale.
Forse è il nostro cervello a non avere la capacità di star
dietro alle proprie scoperte? Forse.
Ma allora qui si tratta di adattamento (vedi cap. 4).
E di educazione (vedi cap. 12).
Lo scenario è cambiato.
Nessuno può negarlo. L’ambiente (cambiamenti climatici,
per ora, a parte) cambia e cambierà. Il paesaggio antropico
sarà diverso.
Se prima i mutamenti erano causati dalla Terra, da
fattori indipendenti dall’azione umana diretta (esempio:
la glaciazione, che abbiamo affrontato andando vivere
nelle caverne, indossando vestiti più pesanti, cambiando
dieta), ora siamo noi stessi che introduciamo certi
fattori nell’ambiente, apposta per trasformarlo, non
dimentichiamolo.
Succede poi, però, che quando lo rivediamo, quando
vediamo i risultati, ne restiamo spaventati. Non li
riconosciamo come nostri. Perché?
Forse va tutto troppo veloce?
Può darsi, ma non credo. Se abbiamo impresso un
certo ritmo alle cose è perché questo ritmo è nostro, ci
appartiene, possiamo viverlo, determinarlo, batterlo (in
tutti i sensi, compreso quello musicale).
Quello che credo, invece, è che ci siano delle cose che
vanno troppo lente. Ma, di questo, ne parleremo meglio
quando ci occuperemo della formazione (cap. 12).

 



IL MONDO DA COSTRUIRE
È MOLTO PIÙ GRANDE DI
QUELLO GIÀ COSTRUITO
Giancarlo Orsini

 

Spinto dalla  grande passione per l’elettronica, inizia  il suo percorso
professionale nella fi liale italiana della multinazionale francese
A Novo con sede a Saronno, azienda leader nel post vendita di apparati
elettronici. Dapprima come tecnico specializzato, sino a direttore
commerciale nel  2011, anno in cui vive il fallimento della stessa.
Considerata come  sua seconda famiglia decide di non arrendersi
e  ipotecando la sua casa riesce a rilevarla. Riassume inizialmente
otto dei suoi ex colleghi in cassa integrazione,  sino a raggiungere oggi
una cinquantina di collaboratori.  Nel 2018 apre una seconda fi liale a
Torino, continuando a credere nel valore delle persone, risorsa
principale nelle aziende!
anovoitalia.com
FOUNDER AND CEO
FOUNDER AND CEO
A NOVO ITALIA SRL
A NOVO ITALIA SRL
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Giancarlo Orsini
ENZO MUSCIA

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
4.
UNA VITA PIÙ LUNGA
E PIÙ SANA
LA PRIMA INNOVAZIONE DELL’UMANITÀ
– ASPETTATIVE DI VITA –
VERSO UN’ESISTENZA MIGLIORE:
TELEMEDICINA, CHIRURGIA ROBOTICA E
RIGENERAZIONE CELLULARE – RIVOLUZIONI
CULTURALI E MOVIMENTO
Siamo tutti i pro-pro-pronipoti delle stesse donne e degli
stessi uomini di duecentomila anni fa. Come noi e come
ogni organismo del pianeta, anche loro erano programmati
per sopravvivere e per riuscirci si spostavano in cerca
di cibo, acqua, bel tempo. All’inizio della nostra storia
eravamo tutti cacciatori-raccoglitori finché a un certo
punto, circa dodicimila anni fa, in una zona conosciuta
come la Mezzaluna fertile, qualcuno decise di smettere di
inseguire le stagioni e le mandrie e di mettere radici.
La prima colossale innovazione dell’umanità risale al
momento – quasi sicuramente lungo centinaia di anni, se
non migliaia – in cui l’uomo ha cambiato le sue abitudini.
In pratica il momento in cui ha smesso di resistere al
cambiamento. Fino ad allora i cacciatori-raccoglitori,
raccolti in piccoli gruppi da una cinquantina di persone,
si spostavano in continuazione fermandosi in ambienti
sempre nuovi. La novità dell’ambiente e di conseguenza i
suoi pericoli erano un rischio che i nostri antenati mettevano
in conto pur di trovare da mangiare. L’aspettativa di vita
era piuttosto bassa. Le informazioni sul nuovo ambiente

 

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Giancarlo Orsini
quasi nulle. Anzi, rispetto a oggi, decisamente nulle, e il
tempo per individuare i possibili rischi, soprattutto quelli
potenzialmente fatali, e capire cosa fare, era davvero
limitato. I più deboli erano chiaramente più esposti tanto
che nel tardo Paleolitico in media un bambino poteva
sperare di raggiungere i diciotto anni, e solo dopo aver
superato il quindicesimo compleanno poteva raggiungere
i 25-37 anni. Nel Neolitico, dopo i 15 anni, l’aspettativa
dei cacciatori-raccoglitori si aggirava tra i 50 e i 60 anni,
cioè più o meno la stessa di un indiano nel 1970. Secondo
gli studi oggi l’aspettativa di vita media in India supera i
60 anni (Haub e Sharma 2006).
Circa seicento generazioni più tardi dalla
rivoluzione del Neolitico, la vita media di
oltre sette miliardi di persone sul pianeta
si è allungata fino a superare i 70 anni.
In tutto questo, le esigenze fondamentali sono rimaste
le stesse. A cambiare sono i modi, non i bisogni
fondamentali. Sono cambiati i mezzi, gli strumenti, e
tutto il mondo intorno, ma noi no: le persone mangiavano,
mangiano e mangeranno; comunicavano, comunicano,
comunicheranno; si curavano, si curano e si cureranno.
Eppure “le cose potrebbero andare meglio”, come scrive
Lieberman ne “La storia del corpo umano – evoluzione,
salute e malattia”, e se speriamo tutti che lo facciano,
contemporaneamente
abbiamo
anche
motivo
di
preoccuparci.
“Oltre alle potenziali minacce poste dai cambiamenti
climatici, ci troviamo ad affrontare una cospicua
esplosione demografica, accompagnata da una transizione
epidemiologica. Se da un lato le persone vivono via via più

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
a lungo diminuisce il tasso di mortalità dei giovani dovuto
a infezioni o scarsità di cibo, dall’altro sempre più persone
di età avanzata soffrono di malattie croniche non infettive
un tempo rare o sconosciute.17”
Mentre il progresso medico ci permette diagnosi precoci,
terapie e interventi impensabili anche solo fino a pochi
anni fa, la popolazione occidentale sta ingrassando, fin da
giovane. Siamo diventati tutti più sedentari, e anche più
viziati: ci muoviamo di meno, usciamo di meno, facciamo
meno movimento e il nostro organismo ne risente.
La questione non riguarda l’aspetto fisico, ma la salute
di intere generazioni: quando un corpo ingrassa fino a
raggiungere l’obesità, si espone al rischio di disturbi
cardiaci, ictus, malattie croniche (come il diabete e
l’osteoporosi) e diverse forme di cancro.
“Per farla breve, l’abbassamento della mortalità viene a
poco a poco sostituito da un innalzamento della morbilità
(la cattiva salute)”18.
Siccome in pratica viviamo più a lungo, ma peggio, sono
in molti a dedicarsi alla ricerca di innovazioni capaci non
solo di allungare la durata della nostra esistenza, ma
anche di renderla il meno spiacevole possibile.
Come? Con la telemedicina, con la chirurgia robotica,
con gli studi sulla rigenerazione cellulare per estendere
i limiti di Hayflick senza perderne il controllo, e con la
riprogrammazione neurale che permette a una o più
zone danneggiate del cervello di essere sostituite da aree
limitrofe. Un passo alla volta, ci stiamo muovendo verso
un’esistenza migliore.

##TELEMEDICINA
La telemedicina lavora per riconoscere il prima possibile
l’esistenza di un problema nel nostro organismo,

 

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Giancarlo Orsini
somministrare terapie e monitorarne l’andamento. Il tutto
anche a migliaia di chilometri di distanza, mettendo in
contatto un medico da Milano (o Londra, o New York) con
chi ha bisogno delle sue competenze, ovunque si trovi. Il
che significa che per fare un’ecografia a una persona che
abita in un villaggio della Sierra Leone, non serve una laurea
in medicina, una specializzazione in radiologia e anni di
esperienza sul campo, ma è sufficiente che qualcuno
con un dispositivo collegato a un cellulare raggiunga
la persona da monitorare, segua poche istruzioni, e si
connetta a un tecnico radiologo in grado di guidarlo e poi
valutare i risultati dell’esame.
In pratica la telemedicina ha una serie di effetti positivi
sulla nostra salute perché ci apre a servizi prima
accessibili solo in ospedale o attraverso personale
altamente qualificato, azzera tempi e distanze, riduce
i costi della sanità e raggiunge aree nelle quali ci sono
pochi operatori sanitari e nessun ospedale.
##CHIRURGIA ROBOTICA
La chirurgia robotica opera dalla fine degli anni Novanta.
Il primo robot si chiama Da Vinci, inventato dal professor
Pier Cristoforo Giulianotti,  ed è stato costruito nella Silicon
Valley nel 199919 per aprire la strada a un tipo di chirurgia
cosiddetta microinvasiva, ossia capace di intervenire
limitando l’invasività clinica e chirurgica.
Da allora sono stati portati a termine più di cinque milioni
di interventi e uno dei pionieri della chirurgia robotica
è il professor Ugo Boggi, laureato a Pisa nel 1990 e
specializzato in chirurgia addominale ed endoscopia
digestiva chirurgica.
Il professor Boggi ha eseguito il primo trapianto isolato
di pancreas al mondo con il robot20 e alcune delle sue

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
tecniche sono state adottate come standard internazionali.
«Il mio primo intervento non me lo ricordo, sarà stata una
cosa molto piccola, che ho cancellato dalla memoria»
dice il professore in un’intervista rilasciata nel 201421.
«Ma rammento benissimo il giorno in cui ho capito che
avrei voluto fare il chirurgo, perché è legato a un evento
storico per il gruppo, con cui allora giovane medico
lavoravo (quello del professor Franco Mosca), che segnò,
anche se con tre insuccessi, la storia dei trapianti. Era
il gennaio del 1996, avevo trentun anni e affrontai
quell’esperienza come un allievo volenteroso ma insicuro,
a cui viene permesso di stare al fianco del suo maestro
in un’occasione unica. Avevamo aspettato quel giorno
come si aspetta un bel regalo, sicuri che sarebbe andato
tutto bene. Invece fu una debacle totale. Tre trapianti, tre
morti e una sensazione spiacevolissima, molto pesante:
ci fu un’interrogazione parlamentare, sull’evento calò il
gelo e tutto si fermò. Fino al 15 agosto, quando dopo la
morte di una ragazza, mi chiamarono dall’ospedale di Pisa
per dirmi che ci sarebbe stata la possibilità di ritentare
e che il professor Mosca mi voleva in sala operatoria.
Ricordo che quando posai il telefono dissi a mia moglie:
“Ce l’ho fatta” e decisi la strada da seguire.» Nel 1996 il
professor Boggi ha solo 31 anni. Assistere non a uno ma a
tre fallimenti nella stessa giornata, cambia per sempre la
sua vita e quella di migliaia di altre persone. Non solo non
si abbatte, ma si rialza e riparte più forte di prima. Da lì in
poi, l’approccio del giovane medico, oggi considerato un
faro nel mondo medico-scientifico, invece di concentrarsi
sui suoi successi, sta attento al loro contrario: «Di solito
rifletto più sulle cose che vanno male che su quelle che
riescono e cerco di capire perché. Gli insuccessi poi, vanno
usati per cercare di trarne insegnamenti nei passaggi

 

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Giancarlo Orsini
successivi, sebbene questo è un mestiere dove non si
finisce mai di imparare: tutto è variabile e l’imprevisto è
sempre dietro l’angolo».
##NANOTECNOLOGIA E

RIGENERAZIONE CELLULARE
E se non fossimo poi così lontani dall’immortalità?
Già oggi c’è chi, come Ray Kurzweil, rettore della Singularity
University e direttore del dipartimento di ingegneria di
Google, ritiene che siamo a poco più di un decennio dal
compiere passi importanti verso l’immortalità, il tutto
grazie alla nanotecnologia e alla connessione dei nostri
cervelli in cloud22.
La nanotecnologia, entrando letteralmente dentro di
noi, porterà a un miglioramento significativo del nostro
sistema immunitario fino a raggiungere un’efficacia
intorno al 100% nella lotta alle malattie. Quando poi,
sempre secondo Kurzweil, riusciremo a collegare i nostri
cervelli in rete, l’umanità compirà un balzo evolutivo
superiore a quello di due milioni di anni fa (con lo sviluppo
della corteccia frontale).
Ha detto: «Creeremo forme di comunicazione più profonde
di quelle che conosciamo oggi, musica più profonda e
battute più divertenti. Saremo più divertenti. Saremo più
sexy. Saremo più abili nell’esprimere sentimenti d’amore.»
Ma non è solo Google a occuparsi di immortalità: come
anticipato nell’introduzione, sono in molti a guardare
avanti verso un domani migliore e più longevo.
Peter Thiel, il cofondatore di PayPal, sta pianificando di
vivere almeno 120 anni, e inseguendo il suo sogno ha dato
3,5 milioni alla Methuselah Foundation per un progetto
che punta a riparare e rigenerare le cellule come si
potrebbe fare con i pezzi di un’auto. Larry Ellison di Oracle

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
considera «incomprensibile» la nozione della propria fine
e Sergey Brin di Google si è posto l’obiettivo di «curare la
morte» con il progetto Calico che in collaborazione con
la casa farmaceutica AbbVie sta cercando di produrre
una medicina basata su Foxo 3, un gene collegato alla
longevità. Sempre a proposito di rigenerazione cellulare,
nell’estate del 2019 un gruppo di ricercatori dell’Università
della California a Davis è riuscito a mappare il destino delle
cellule ‘immortali’ di un invertebrato capace di rigenerare
le proprie cellule. L’invertebrato in questione è un esserino
acquatico lungo pochi millimetri chiamato Idra, celebre
per la capacità di rigenerare ogni parte del suo organismo
proprio come il mostro mitologico con nove teste. Questa
sua capacità di rigenerare completamente le parti del
corpo danneggiate, incluso il sistema nervoso, lo rende
praticamente immortale.
Ora i ricercatori dell’Università della California a Davis
hanno mappato il destino delle cellule ‘immortali’
dell’idra, rivelando in che modo tre linee di staminali
diventano nervi, muscoli o altri tessuti, compresi i tessuti
del cervello.
«Tutti gli organismi condividono lo stesso percorso di
risposta agli infortuni, ma in alcuni organismi come l’idra,
ciò porta alla rigenerazione», dice Abby Primack, coautrice
e studentessa universitaria. «In altri organismi, come gli
esseri umani, una volta che il cervello è danneggiato, il
recupero è difficile, perché al nostro cervello mancano le
capacità rigenerative che vediamo nell’idra.23»
In tema di ringiovanimento c’è poi un team di Harvard che
si sta concentrando su una proteina specifica24 in grado
di rigenerare il sangue dei topi fino a invertire il processo
di invecchiamento. Contemporaneamente l’Anderson
Cancer Center di Houston sta studiando i telomeri, cioè le

 

60
Giancarlo Orsini
strutture che incapsulano i cromosomi, il cui decadimento
sarebbe all’origine dell’invecchiamento e di molte malattie
tra le quali il cancro25.
Nel frattempo attraverso le cellule staminali siamo già
in grado di «riprodurre» alcuni organi, che si cominciano
anche a ricreare attraverso le stampanti 3D.
Alla base di molti di queste ricerche si trova lo studio sui
telomeri, ovvero le estremità a protezione dei cromosomi
che hanno la funzione di governare il numero di volte in
cui una cellula si divide, e la cui lunghezza determina il
numero di replicazioni massimo di quel particolare DNA.
Infatti accorciandosi a ogni meiosi, via via si esauriscono,
e la cellula cessa di riprodursi e muore. Il blocco di
questo meccanismo attraverso l’inibizione dell’enzima
responsabile
(telomerasi)
inibirà
il
progressivo
accorciamento dei telomeri, aumentando il ciclo vitale
della cellula e quindi bloccherà l’invecchiamento, mentre
iniezioni di fattori di crescita restituiranno energia.
Negli ultimi 12mila anni non siamo cambiati granché.
Molti di noi condividono lo stesso gruppo sanguigno
degli antenati che circa dodicimila anni fa, in una zona
chiamata la Mezzaluna fertile, diedero il via al mondo
moderno. Non siamo molto diversi nemmeno dai nostri
cugini Neandertaliani, estinti con la comparsa del
Sapiens. Abbiamo facce e soprattutto cervelli più piccoli,
meno muscoli, più grasso, ma la cosa che davvero ci
differenzia da loro è la nostra capacità di innovare e di
farlo attraverso la cultura. Non sappiamo perché l’Homo
Sapiens abbia cancellato i Neanderthal dal pianeta, né
come sia successo, ma sappiamo, per esempio, che i
Neanderthal erano meno flessibili, cioè meno inclini al
cambiamento, meno propensi a inventare nuovi utensili
e anche meno a esprimersi attraverso l’arte. L’evoluzione

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
che ci ha portato fino qui non è soltanto biologica, ma
ha una natura globale, universale, capace di toccare la
materia così come lo spirito.
«La cultura è essenzialmente ciò che la gente impara,
e quindi anche le culture evolvono. […] Una differenza
fondamentale tra l’evoluzione culturale e l’evoluzione
biologica è che la cultura non cambia soltanto per caso
ma anche attraverso l’intenzionalità e chiunque può
esercitare un’influenza, non soltanto i genitori.26»
Nel bene e nel male, l’ambiente in cui viviamo ha effetti
sulle nostre esistenze, su come ci comportiamo, su quello
che desideriamo, e sulle relazioni che stringiamo.
Se pensiamo alle ultime duecento generazioni, le
transizioni del genere umano sono state tre: la prima, in
corrispondenza della cosiddetta rivoluzione agricola (tra
i 12 e i 10 mila anni fa); la seconda con la rivoluzione
industriale; la terza con l’accesso alla rete.
L’ultima è con buona probabilità la livella più potente
della storia dell’essere umano. È da Totò che ho preso
in prestito la parola livella, da lui usata per intitolare
una delle sue poesie più famose (‘A livella, appunto). Il
messaggio è semplice: per Antonio De Curtis di fronte alla
morte siamo tutti uguali. Principi, marchesi, magistrati,
grandi uomini e poveracci nascono e muoiono senza
differenze. Sono uguali prima di venire al mondo e lo sono
anche nell’andarsene. Seguendo questo ragionamento
ecco allora che la rete diventa una livella, qualcosa che
in potenza (e quando c’è) può appianare le differenze,
e può limitarle fino quasi ad azzerarle. Prima della rete
per incontrare qualcuno e vederlo in faccia, dovevamo
raggiungerlo. Per riuscirci dovevamo avere le risorse per
muoverci e viaggiare. Dopo la rete, basta una connessione,
e in pochi clic ci siamo. Prima di internet la formazione era

 

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Giancarlo Orsini
limitata a chi poteva permettersela, oggi è a disposizione
di chi la desidera.
Da una transizione all’altra ci siamo trasformati anche noi
e anche se queste trasformazioni non hanno generato
nuove specie di uomini, hanno cambiato per sempre il
nostro modo di vivere. Tutte e tre, come ogni progresso
della nostra storia, sono partite da piccoli movimenti che
poi si sono diffusi fino a diventare parte della nostra routine
quotidiana. Allo stesso modo, ognuna di esse è riuscita a
crescere camminando sui propri errori: da un fallimento
all’altro abbiamo fatto scoperte e costruito invenzioni che
prima di essere diffuse (e accettate) sono state spesso
ridicolizzate, messe alla berlina, e soprattutto – come
abbiamo visto parlando della resistenza al cambiamento
– temute.
Tutto ciò che facciamo ci espone per forza di cose alla
possibilità di sbagliare, ma senza errori non c’è progresso.
Il progresso, come scriveva Kafka, non è altro che
brancolare da un errore all’altro. Il fatto è che per riuscirci,
per “brancolare da un errore all’altro” in cerca del
progresso, dobbiamo muoverci, ovvero agire, prendere
iniziative, esporci a rischi, sbagliare, e riprovare.
Intorno a noi non c’è niente che non si muova: nemmeno
quello che i nostri sensi percepiscono come immobile
lo è sul serio. Se pensiamo alla materia, ossia a tutto
ciò che ha una massa e occupa spazio e guardiamo
una cosa qualsiasi davanti a noi, come una penna o un
cellulare, vediamo un oggetto fermo. Cioè qualcosa che
non si muove*. O meglio, qualcosa che noi non vediamo
muoversi perché, di fatto, la penna, così come il cellulare,
*
Viceversa, se la penna iniziasse a muoversi da sola, senza una spinta esterna, ci
spaventerebbe a morte arrivando magari a convincerci di aver acquisito un super
potere in stile Marvel.

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
si muove eccome, solo che lo fa a un livello così piccolo e
con movimenti tanto limitati che per percepirli invece di
un paio di occhi con o senza occhiali, avremmo bisogno di
un microscopio atomico.
La vita stessa, dal primo all’ultimo atomo del nostro
universo, è movimento. Il movimento è alla base
dell’energia. L’energia è ciò che ci tiene in vita, ci faceva
uscire a cercare bacche e corteccia nel Paleolitico, ci ha
portato a osservare le piante commestibili nate nelle
deiezioni animali e poi a provare a coltivarle (le piante,
non le deiezioni) fino a farci imparare a selezionare i semi,
a studiarli e modificarli perché resistessero al freddo.
È sempre la ricerca di nuova energia che ci ha insegnato
a produrla per accendere le nostre città, esplorare le
profondità degli oceani in cerca di cibo e raggiungere
lo spazio. Ecco perché, come diceva Socrate, chi vuol
muovere il mondo muova prima se stesso, ed ecco perché
ho scelto il verbo inglese ‘GO’ come titolo per questo libro
il cui scopo principale non è parlare delle meraviglie di
domani, ma ispirare chiunque lo legga all’azione, al GO.
E siccome ispirare è una gran bella cosa ma non basta a
trasformare le buone idee di oggi in una delle meraviglie
di domani, questo libro va oltre le parole e fa i fatti,
finanziando l’innovazione.

 



NON È TANTO CHI SEI,
QUANTO QUELLO CHE FAI
CHE TI QUALIFICA
Bruce Wayne, Batman Begins

 

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Medico, patologo clinico con profonda conoscenza delle neuroscienze
e delle malattie del cervello e della mente. È vicepresidente di
Euresearch e co-fondatrice e CEO dell’ organizzazione non-profi t
“Women’s Brain Project”. Attualmente si occupa della malattia di
Alzheimer per una compagnia di biotecnologie. Antonella ha una vasta
esperienza nella ricerca preclinica, nel trattamento dei pazienti, nello
sviluppo clinico dei farmaci, negli affari medici e regolatori, ma anche
nella creazione del quadro normativo internazionale per la malattia di
Alzheimer. In Svizzera dal 2018 è annoverata tra le “Top 100 Women”
e nel 2019 è stata eletta donna dell’anno dalla rivista Women in
Business. Nel 2020 le sono stati conferiti il Premio Mondiale per la
Sostenibilità, condiviso con il WBP team e il premio Medicina Italia per
il suo coinvolgimento nel management della pandemia da COVID-19.
NEUROSCIENZIATA
NEUROSCIENZIATA
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
ANTONELLA SANTUCCIONE

 

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
5.
ADATTAMENTO
ADATTAMENTO ADATTIVO
EVOLUZIONE DELLA SPECIE – ADATTABILITÀ
– INTELLIGENZA EMOTIVA-
Adattamento deriva da adattare e adattare a sua volta
è formato da ‘ad’ e ‘aptare’, forma intensiva di ‘apere’,
cioè connettere. Ossia, in qualche modo, avvicinare,
rendere una cosa più vicina a un’altra per convenienza o
proporzione. Il verbo stesso ‘adattare’ è un adattamento
della lingua latina, una specie di ponte tra ieri e oggi.
Per quanto sia difficile e controverso il significato
della parola adattamento, possiamo riconoscere alcuni
adattamenti più adattivi e altri meno.
In biologia definiamo adattamento adattivo ciò che è in
grado di migliorare la capacità di un individuo di riprodursi
e sopravvivere.
Dal suo viaggio intorno al mondo a bordo di un brigantino,
Darwin deduce che la forma del becco dei fringuelli delle
Galapagos è un adattamento alla diversa alimentazione.
Siccome nella stagione umida, i becchi più lunghi e sottili
sono utili per nutrirsi di frutti e insetti mentre in quella più
secca, servono becchi più corti e spessi, Darwin si accorge
che gli uccelli con i becchi lunghi fanno meno figli nella
stagione secca e viceversa. La lunghezza e la solidità dei
becchi cambiano quindi in base alle variazioni climatiche:
se piove di più, i becchi lunghi aumentano.
Questi tipi di adattamento si applicano anche a noi che
ereditiamo l’altezza, la forma del naso, e la capacità

 

68
Giancarlo Orsini
a digerire certi cibi in base a specifiche circostanze
ambientali, cioè come risposte a specifici contesti.
La pelle più chiara, per esempio, è un adattamento del
derma che aiuta le cellule a sintetizzare più vitamina D
quando il sole scarseggia27.
Sempre dal punto di vista biologico, ricordiamo che gli
adattamenti del nostro corpo seguono uno scopo ben
preciso: la sopravvivenza della specie.
Anche se ci piace pensare che l’evoluzione serva a
sostenere il nostro benessere, la verità è leggermente
diversa perché gli adattamenti favoriscono il benessere
(così come ogni altra qualità positiva) solo finché questo
benessere influisce positivamente sulla capacità di fare
quanti più figli possibile.
Tant’è, che come dicevamo, stiamo ingrassando. Tendiamo
all’obesità non perché essere più grassi ci faccia stare
meglio, ma perché il grasso aumenta la fertilità.
Anche lo stress, l’ansia, la predisposizione all’infelicità
sono adattamenti, cioè accorgimenti chimico-biologici che
da sempre ci aiutano a riconoscere i pericoli e a decidere
se affrontarli o correre.
Di fronte a una minaccia, si attiva un processo chiamato
‘Fight or flight’, combatti o fuggi. Nel minor tempo
possibile, davanti a un potenziale pericolo dobbiamo
scegliere se affrontarlo o darcela a gambe.
Come facciamo a scegliere?
L’esperienza, i ricordi e tutte le paure raccolte nella
amigdala fanno aumentare i battiti, salire la temperatura
(non a caso, sudiamo anche da fermi, solo vedendo
un potenziale pericolo, e anche solo ricordandolo) per
prepararci all’azione, oppure alla fuga. Gli stimoli negativi
dell’amigdala ci servono da molla.
Quando però la paura ci blocca fino a paralizzarci e a

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
impedirci di scegliere in modo sensato, l’amigdala smette
di esserci utile. Anzi: ci gioca contro, tant’è che parliamo
di ‘sequestro emotivo’ o ‘sequestro dell’amigdala’, come
lo chiama Daniel Goleman28.
Ecco che quindi non tutti gli adattamenti si sono evoluti
per farci stare meglio. Almeno non in senso assoluto.
Eppure buona parte di essi, cioè tutti quelli che possiamo
chiamare davvero adattivi, hanno un punto in comune:
la capacità che abbiamo acquisito di rispondere ai
cambiamenti ambientali e culturali. A questa capacità
si lega la propensione al contatto, a stringere legami
che ci migliorano e alla diffusione di quello che abbiamo
imparato.
Se all’essere umano bastasse solo la forza, o l’intelligenza,
forse intorno a noi Sapiens ci sarebbero ancora i
Neanderthal, considerando i loro muscoli e le dimensioni
del loro cervello; se non ce ne sono più, come dicevamo,
è probabilmente perché l’Homo Sapiens è riuscito a
sviluppare un tipo di intelligenza che i Neanderthal
sottovalutavano: quella emotiva, connessa alle emozioni,
e a fattori come l’empatia, l’autocontrollo, la perseveranza
e l’attenzione.
Pensiamo a oggi e alle paure che abbiamo esplorato
nel capitolo 3. Se la variabile per la sopravvivenza e il
benessere della nostra specie fosse la forza, o la velocità
di elaborazione dei dati, allora sì che le macchine ci
spazzerebbero via come briciole dal tavolo dell’umanità.
Le macchine sono più veloci di noi, sono più efficienti,
sono meno fallaci.
Oggi le temiamo perché abbiamo paura che ci
sostituiscano pensando che lo facciano per la prima volta.
Ma abbiamo visto che è già successo: un solo braccio
robotico ha sostituito il lavoro di decine, forse centinaia di

 

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Giancarlo Orsini
persone, abbassando il costo orario e i rischi per l’uomo
e aumentando la redditività dei prodotti e la nostra
sicurezza.
Tuttavia non è stato un passaggio istantaneo e nemmeno
facile: quando la rivoluzione industriale ha cambiato la
faccia del modo di produrre, non avevamo idea di come
evitare gli incidenti nelle fabbriche. Non ci pensavamo
quasi nemmeno. Allo stesso modo, l’introduzione della
forza meccanica prima, di quella tecnologica poi e della
potenza di calcolo degli intelletti sintetici di questi anni
ci hanno trovato impreparati e, come di fronte a qualsiasi
novità che ci riguardi, ci siamo spaventati.
Se oggi così tante intelligenze sopraffine – di cui abbiamo
parlato nel capitolo due – si sperticano nell’annunciare
una possibile apocalisse del nostro genere è perché, di
nuovo, siamo di fronte a qualcosa che non conosciamo
e dentro di noi, nei nostri cervelli, l’amigdala si attiva per
metterci in allarme.
«Sulle poltrone più calde del mondo, in questi anni,
abbiamo visto negazionisti di ogni sorta: eminenti
scienziati hanno negato il cambiamento climatico, fonti
apparentemente autorevoli hanno contestato l’utilità
dei vaccini e ridicolizzato l’evoluzionismo, eccetera –
purtroppo – eccetera.» 29
Non parliamo solo di azioni meccaniche, e dei relativi
impieghi e professioni, ma di attività più vicine
all’intelligenza, al discernimento, alla scelta, addirittura
alla creatività e all’arte.
Quando le ricerche di un avvocato verranno sostituite da
quelle di un intelletto sintetico capace di analizzare tutto
lo scibile nell’arco di pochi minuti – o secondi – forse il suo
ruolo non smetterà di esistere, ma è certo che cambierà la
sua funzione. Anche se abbiamo robot chirurgici in grado

 

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di operare, come quelli usati dal professor Boggi (capitolo
4), queste macchine hanno ancora bisogno di noi e ne
avranno probabilmente sempre.
Senza un essere umano che immagini il robot, altri che
trovino i finanziamenti per costruire un prototipo e poi
per metterlo in produzione, altri che lo perfezionino e
altri ancora che prima lo addestrino e poi lo guidino, non
esisterebbe il robot. L’innovazione non è un processo che
si può fermare anche perché “ammesso che sia possibile
tornare indietro, indietro non è mai la direzione dove
andare per stare meglio”.30
«L’intelligenza digitale potrebbe sostituire quella umana»,
scrive Nick Bostrom nel suo “Superintelligenza”31, che
continua immaginando cosa potrebbe accadere se oltre al
lavoro intellettuale ora umano, si aggiungessero attuatori
robotici. Le menti digitali sarebbero in grado non solo
di svolgere il lavoro intellettuale oggi svolto dagli esseri
umani, ma anche, una volta dotate di buoni attuatori o
corpi robotici, di rimpiazzarli nel lavoro fisico.
Eppure «i dati dell’economia, almeno per quanto riguarda
gli USA, ci dicono che abbiamo una carenza di lavoratori,
non di posti di lavoro. E abbiamo un serio problema di
disuguaglianze, è vero. Ma questo significa che il problema
è la qualità del lavoro, non la sua quantità. Le funzioni che
vengono automatizzate non porteranno automaticamente
all’eliminazione dei lavoratori: non scompariranno i
radiologi come il bancomat non ha fatto scomparire i
bancari e il codice a barre i cassieri dei supermercati.»32
Gaggi ricorda l’introduzione dei fogli di calcolo Excel: “per
molti contabili suona la campana dell’ultimo giro” – scrive
– ma i fogli di calcolo hanno poi reso possibili carriere che
prima non erano neanche immaginabili.
Ho dedicato il capitolo 3 alle paure del futuro. Paure

 

72
Giancarlo Orsini
fondamentalmente “scientifiche”, direi, tutte quante,
legate ai bisogni primari della nostra specie: paura di
non far più parte del gioco (le macchine che rubano il
lavoro); di non riuscire a trasmettere il proprio patrimonio
genetico (paura dell’androide); di non essere più padroni
del proprio pensiero (sottrazione dei dati personali a
nostra insaputa); di ritrovarsi soli in un mondo di automi
(paura di quel che non si conosce, ma che verrà).
In ogni nuova “supremazia” tecnologica, vedi l’ipotetica
“supremazia quantistica” raggiunta da Google col super-
computer (annuncio pubblicato e poi subito ritirato dal
web a metà del 2019), sembra avverarsi l’apocalittica
profezia che vuole le macchine in procinto di spodestarci
dal “trono” della “supremazia umana” sul pianeta e,
perché no, sull’Universo intero.
Ogni modificazione nell’ordine delle cose
comporta un terremoto, una perdita
dell’equilibrio, una necessità di bilanciamento.
Necessita la scoperta o l’invenzione di
un nuovo punto di armonia generale.
Perché ogni volta, in realtà, si tratta solo della comparsa
di un nuovo fattore, di una nuova opportunità (grande o
piccola che sia, ipotetica, possibile o reale) di scoperta e
di conoscenza, che richiede un aggiustamento, appunto,
un adattamento.
È sempre stato difficile, dovendo rispondere ai nuovi
paradigmi proposti dalle scienze, mutare le nostre
abitudini, le nostre convinzioni, tutto ciò che ci dà
sicurezza, che ci fa sentire quello che siamo. Mettere in
discussione i risultati raggiunti. Difficile, anche perché
si crede che cambiare comporti del lavoro, della fatica;

 

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che comporti un investimento (fino a che punto sicuro?)
in ciò che ancora non si conosce bene, in un futuro che
non possiamo esattamente prevedere in tutti i suoi,
imprevedibili sviluppi.
Bene, in parte è così. Bisogna darsi da fare. Ma non
dobbiamo tralasciare il fatto fondamentale, ovvero che
ogni introduzione di un nuovo sistema di calcolo, di
ragionamento, di analisi dei dati, ogni nuova app propostaci
dal mercato lavora per noi, ovvero tende ad alleggerirci
proprio dal lavoro nella sua accezione più “bassa”, se
vogliamo, di impiego di forza, tempo e risorse. In buona
sostanza, tende ad alleggerirci la vita da tutti quei compiti
che richiedono un grande investimento di vita, ovvero di
una moneta non totalmente ricambiabile.
Nel fare il primo passo si rischia sempre di cadere. Così
ogni incertezza porta con sé, per lo meno, un’inquietudine.
Un recente studio ha collegato la paura del domani
alle funzioni del corpo striato, una regione del nostro
cervello che è preposta anche al riconoscimento delle
nostre azioni e quindi all’aspettativa di quel che sarà. È
il meccanismo della ricompensa33. E se non vediamo
(o non comprendiamo) immediatamente quale sarà la
ricompensa dei nostri sforzi, automaticamente ci tiriamo
indietro, diventiamo rigidi, cerchiamo mille scuse, più o
meno palesi, per non andare avanti.
Ci rifugiamo, allora, nel passato.
Negli ultimi tempi abbiamo assistito, per esempio, a
un nostalgico ritorno di fiamma degli Anni Ottanta.
Spuntano nelle camerette i poster di film come “Ritorno
al Futuro”. Torna di moda il look di un’epoca nella quale
il futuro sembrava essere diverso, più umano. Tornano
i videogiochi d’annata, i generi musicali come l’heavy
metal, le polaroid, spunta una costosissima cassa per

 

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Giancarlo Orsini
l’iPod a forma di grammofono.
Ma è un inganno. L’inganno del vintage.
Rimpiangere il passato è facile, perché in quel caso
l’oggetto dei nostri rimpianti (non come quello delle paure)
lo conosciamo bene, sappiamo tutto di lui, l’abbiamo già
vissuto.
Cullarsi in una nostalgia di questo tipo non fa altro
che renderci più duro e scomodo il presente, oltre che
allontanarci dal futuro. E non ci ripaga se non con un
ricordo, appunto, per quanto bello possa essere.
Lo sforzo speso nell’adattarci alle novità ci ripaga invece
di un tempo successivo, nel quale tutti gli sforzi fatti per
vivere, godere, scoprire, conoscere, saranno minori di
quelli del passato.
Un tempo nel quale sempre più ci legheremo gli uni agli
altri, condividendo le più svariate esperienze, collaborando
ai più incredibili progetti.
È una storia antica.
L’adattamento che ci ha permesso di arrivare qui, oggi, è
soprattutto legato alle nostre risposte e alla nostra abilità
di stringere rapporti che ci aiutino a superare le avversità
e ad affrontare i cambiamenti.
In altre parole: alla nostra capacità di costruire ponti per
connetterci gli uni agli altri.

 



L’INTELLIGENZA
È LA CAPACITÀ DI ADATTARSI
AL CAMBIAMENTO
Stephen Hawking

 

Esperto americano di politiche tecnologiche, è stato menzionato dalla
rivista Foreign Policy tra i 100 “Top Global Thinkers”.
Dal 2008 al 2013 ha collaborato col dipartimento di Stato americano,
prima come Senior Advisor per l’Innovazione per Hillary Clinton e
successivamente come Coordinatore per il comitato Technology &
Media Policy durante la campagna presidenziale di Barack Obama.
Già Senior Fellow alla Johns Hopkins University e alla Columbia
University, attualmente è Visiting Professor alla Bologna Business
School. È anche imprenditore e autore di molte pubblicazioni, fra
cui diversi best seller del  New York Times, e libri, fra i quali Il nostro
futuro. Come affrontare il mondo dei prossimi vent’anni (2016).
È nel CdA di Amplo, società di venture capital globale specializzata in
tecnologia, fi nanza, educazione, risorse umane e cybersecurity.
contact-ross@elastica.eu
ESPERTO DI POLITICHE
ESPERTO DI POLITICHE
TECNOLOGICHE
TECNOLOGICHE
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Giancarlo Orsini
ALEC ROSS

 

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6.
TESSUTI GLOBALI, SCENARI
ALLARGATI
MURI, PONTI E CONFINI – CULTURA COME
DRIVER EVOLUTIVO – INNOVAZIONE DI
PRODOTTO E DI SIGNIFICATO
MERCATI APERTI – IL VALORE DEL “MADE IN”
DESIGN ITALIANO NEL MONDO
«Purtroppo sono più numerosi gli uomini che costruiscono
muri di quelli che costruiscono ponti», dice un proverbio
cinese e in effetti se pensiamo ai muri, è dalla notte dei
tempi che abbiamo iniziato a costruirli. Dopo le caverne e
i ripari naturali, sono stati la prima forma di protezione che
abbiamo trovato per difenderci dalle ostilità e poi hanno
segnato i confini tra gli spazi da proteggere.
Nel piccolo di un solo gruppo familiare, quanto a livello più
esteso, i muri ci sono sempre stati utili e ancora ci servono
per tenere fuori o lontano da noi i pericoli.
Circa un paio di millenni fa, dopo quasi cinquecento anni di
lotte interne tra una moltitudine di popoli in guerra, Ch’in
Shi Huang riesce a unificare l’intera Cina sotto un unico
regno diventando così il primo imperatore della storia
della Cina. Peccato che non fa quasi in tempo a rendersene
conto che il suo regno nuovo di zecca viene preso di mira
dai nomadi del nord che saccheggiano e depredano le
regioni a nord ovest causando danni gravissimi.
Per difendere i suoi territori, l’imperatore decide di
formare un esercito e, mentre lo prepara, dà il via alla
costruzione di un muro che chiama ‘wang li ch’ang

 

78
Giancarlo Orsini
ch’eng’, per rallentare i guerrieri del nord. In dieci anni, a
partire dal 221 A.C., il muro, che ha un’altezza di oltre sei
metri, raggiunge i cinquemila chilometri. Da lì in poi, a fasi
alterne, il muro è stato più volte abbandonato e ripreso,
smantellato, allungato e modificato fino ad arrivare a
coprire una distanza di oltre diecimila chilometri.
Questo lavoro titanico considerato una delle sette
meraviglie del pianeta è conosciuto sia come la Grande
Muraglia Cinese sia come il “cimitero più lungo della
Terra” visto che al suo interno gli archeologi hanno trovato
i resti umani di chi ha perso la vita durante la costruzione
(oltre un milione di persone).
Dal vallo di Adriano del secondo secolo D.C., saltiamo
fino ai muri del Novecento: il muro di Berlino che quelli
della mia generazione hanno visto cadere, la linea di
demarcazione tra la Corea del Nord e Corea del Sud,
le barriere che dividono la Striscia di Gaza dai territori
di Israele e i 3.140 chilometri di confine tra Pacifico e
Atlantico, di cui circa 1.100 presidiati da barriere, solo per
citarne alcuni. Finché abbiamo cominciato a smettere di
costruirli e ad abbattere quelli che ci dividevano. Abbiamo
cominciato a unirci in gruppi, e a collegarci gli uni agli altri,
scambiando informazioni prima che prodotti e facendoci
forza vicendevolmente.
Sono ancora molti i muri che reggono e troppi quelli di cui
qualcuno va avanti a parlare, ma già oggi, in senso tanto
fisico quanto metaforico, siamo proiettati verso un futuro
che ne avrà sempre meno. Di fatto tutti noi viviamo in uno
scenario connesso che appartiene a un mondo globale
entro il quale – nel bene e nel male – quasi nessun evento
resta isolato.
Le barriere antropiche costruite per dividere gli stati e
quelle naturali che li isolano gli uni dagli altri non bastano

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
a tenerci lontani. Non c’è più niente di isolato, o quasi:
nel bene e nel male, un evento significativo in un luogo
qualsiasi del pianeta porta conseguenze su tutto il globo,
generando effetti sulla finanza, picchi o cadute delle
piazze d’affari da Londra a Hong Kong, e ripercussioni
nelle tasche dei governi così come in quelle dell’umanità.
Se l’onda d’urto del fallimento Lehman’s Brother del 2008
è arrivata da noi e c’è ancora chi ne sta subendo gli effetti,
è perché la crisi partita dagli USA non è rimasta di là
dall’oceano ma ha raggiunto il mondo intero.
Perché? Perché siamo connessi, ognuno di noi (o quasi)
è parte di un unico sistema che riceve e dà sollecitazioni
continue. Come vedremo parlando di ambiente e dei
futuri del nostro pianeta (rif. capitolo 9), un’estate
particolarmente torrida nel sud della California non fa più
sudare solo chi ci vive, ma ha conseguenze sul livello idrico,
sulla produzione agricola, sugli incendi, sulle inondazioni
e sull’economia di tutti gli altri paesi nonché umani.
Il rovescio positivo della medaglia ci dice anche che vivere
in questo contesto tanto collegato e di fatto indivisibile,
ci piace perché ci piace parlare e condividere le nostre
storie con chi è lontano, trovare il nostro caffè preferito
più o meno in tutto il mondo, e impiegare poco tempo per
raccogliere informazioni che fino a qualche decennio fa
dovevamo cercare nelle enciclopedie. Quelle di carta. Ve
le ricordate?

 

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Giancarlo Orsini
INNOVAZIONI DI PRODOTTO
E DI SIGNIFICATO
Siamo abituati a pensare all’innovazione come a qualcosa
che tocca i prodotti, al massimo i servizi e le esperienze.
Eppure l’innovazione può andare oltre: può raggiungere il
perché delle cose, la loro più profonda ragione di esistere.
Quando l’innovazione si occupa di come un prodotto, un
servizio o un’esperienza fa un balzo in avanti, riguarda il
come e il cosa quel prodotto (o servizio) cambia in cerca di
soluzioni migliori, più efficaci, più soddisfacenti. Quando
invece si occupa del perché delle cose, siamo di fronte a
un’innovazione di significato.
Sull’importanza del perché delle cose, mi piace ricordare
il Golden Circle di Simon Sinek.
“Le persone non comprano ciò che fai, comprano perché
lo fai”.
Una delle più straordinarie innovazioni di significato che
l’essere umano abbia mai concepito riguarda proprio
l’abbattere muri, cosa che abbiamo probabilmente iniziato
a fare non appena abbiamo imparato a costruirli.
Nelle nostra vita personale tanto quanto in quella del
business, i muri – sempre intesi come confini sia reali sia
virtuali – ci proteggono, è vero, ma non sempre ci aiutano.
Basti pensare al protezionismo economico che come ogni
chiusura si è dimostrato una lama a doppio taglio, fonte di
decrescita e stagnazione.
Invece di farci la guerra tra concorrenti in pieno stile
anni Cinquanta stiamo lentamente ma progressivamente
imparando a collaborare.
Invece di chiuderci a riccio, come il compagno di classe
che nascondeva gli appunti, stiamo iniziando a capire il

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
significato del vecchio detto ‘l’unione fa la forza’. E anche
l’intelligenza, la velocità, l’efficacia.
Negli ultimi anni, mentre i tessuti economici e umani sono
sempre più parte dello stesso sistema, mentre ha smesso
di avere senso la divisione della realtà in virtuale e non,
stiamo assistendo alla nascita delle prime Valley digitali,
ovvero gruppi di aziende e di persone che si aggregano
oltrepassando i confini dei propri territori; decine, centinaia
di cervelli che lavorano sullo stesso codice, sul medesimo
problema; migliaia di risposte alla stessa domanda…
Essere in un contesto permeabile i cui confini reali sono
sempre più deboli ci permette di essere uniti a livello
globale, ma non basta.
Nello stesso tempo, e grazie allo stesso meccanismo, lo
scenario nel quale viviamo e lavoriamo è anche locale,
fatto di centinaia, anzi migliaia di micro-realtà che oggi
hanno la possibilità di crescere e farsi conoscere senza
nemmeno viaggiare – o meglio viaggiando, ma in rete.
Anche – e soprattutto – in positivo, essere così connessi
è una risorsa capace di fenomeni fino a poco tempo
fa inimmaginabili: è grazie alla connessione se diversi
gruppi di imprese di un settore in crisi sono riuscite a
superare le difficoltà fino a diventare un caso di studio
(vedi la riorganizzazione del distretto del mobile di
Pesaro-Urbino34); ed è sempre grazie alle connessioni se
l’iniziativa di una ricamatrice in Calabria riesce ad avere
così tanto successo da raggiungere l’intero pianeta.
Essere in un contesto permeabile, lavorare in uno scenario
aperto, amplia le nostre chance di successo. Il target si
allarga: il numero di potenziali contatti cresce e con esso
anche il numero di clienti.
Se prima la ricamatrice, così come i piccoli produttori,
gli artigiani, gli artisti erano costretti a rivolgersi a pochi

 

82
Giancarlo Orsini
interlocutori, e non potevano scegliere altrimenti, oggi la
faccenda si è ribaltata.
Il mercato della ricamatrice non è più solo quello dei suoi
vicini di casa. Il target dell’artigiano in cima alle Alpi si è
allargato passando da pochi residenti/turisti a migliaia di
possibili compratori in tutto il pianeta.
Per avere successo, non importa dove sei, non ti serve
nascere e crescere nella Silicon Valley, ti basta essere parte
di questo scenario allargato e sapere come valorizzare e
diffondere le tue capacità. In altre parole, come mettere
i tuoi talenti a disposizione di chiunque possa averne
bisogno.
Parlando della storia dell’uomo, abbiamo accennato al
ruolo della cultura nell’evoluzione della specie. Citando
Lieberman (Storia del corpo umano), abbiamo visto come
la diffusione dell’arte sia stata probabilmente se non
l’unica ragione almeno una delle più importanti che hanno
permesso ai Sapiens di evolvere e arrivare fino qui.
Da italiano che ama la sua terra, su questo tema non
posso non pensare ai geni che hanno dedicato la loro vita
alla bellezza, all’armonia, all’equilibrio e al gusto.
Pensiamo a Michelangelo, Dante, Leonardo. Ma anche a
nomi più recenti e al Made in Italy nel suo insieme che è
cresciuto fino a diventare un brand che vale  2.214 miliardi
di euro.
Per arrivare a questo numero che si avvicina al nostro PIL,
il gruppo Futurebrand è partito da un’analisi su 140 stati
e ha coinvolto consumatori in tutto il mondo e si è chiesto
quanto valga il paese di origine nella forza di un brand e
quali siano i “made in” più rilevanti35.
Secondo gli studi, in termini assoluti il Made in Italy si
attesta all’ottavo posto ed è guidato dalla moda.

Abbigliamento (28,1 milioni)

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO

Banche e assicurazioni (20 milioni)

Automobili e pneumatici (12,1 milioni)

Telecomunicazioni e media (11,5 milioni)

Oil e gas (9,7 milioni)

Utility (8,8 milioni)

Food, retail & drinks (8,2 milioni)

Tecnologia & ingegneria (5,2 milioni)
Come ci siamo riusciti?
Come ha fatto un paese tanto piccolo e così poco
organizzato (almeno stando ai nostri detrattori, dentro e
fuori dai confini) a piazzarsi talmente bene da diventare
un brand riconosciuto in tutto il globo?
«Abbiamo inventato un’identità di sistema: il bello e il
ben fatto,» – dice Guido Corbetta, docente di strategia
aziendale alla Bocconi di Milano, in un’intervista al Sole
24 ore – «che trasmette la percezione positiva a cui, nel
mondo, aspirano più persone.»
E se lo facciamo da sempre forse è perché la nostra storia
ci ha reso aperti alle diversità, e ci ha costretto a imparare
l’arte di arrangiarci e la capacità di fronteggiare e risolvere
problemi complessi; ma se ci riusciamo così bene, può
darsi anche perché il nostro approccio non è solo legato
a cosa facciamo (produciamo, pensiamo, cuciniamo,
eccetera), ma soprattutto alla passione che impieghiamo,
all’energia e alla dedizione che ci portiamo dentro, nelle
forza delle nostre braccia e nel cuore che guida le nostre
scelte.
La chiave è nel why, ossia nel nostro perché, prima di
essere nel come e nel cosa. È nel pathos, nell’entusiasmo,
nella creatività del pensiero e delle mani.
Il nostro why ha a che vedere con una specifica, per quanto
bizzarra, forma di ‘evoluzione adattiva’ che ci ha aiutato a

 

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Giancarlo Orsini
rispondere a più di duemila anni di invasioni, dominazioni
e fusioni tra popoli e culture diverse; un adattamento che
ci ha portato a integrarci, a mischiare le nostre ricette con
quelle che via via sono arrivate a noi, ad apprezzarle e poi
a diffonderle.
Ecco che, restando in tema di scenari allargati, mi piace
immaginare un domani sempre più aperto, fatto più di
possibilità che di rischi e abitato da persone sempre più
consapevoli di essere nate in uno dei momenti più fertili
della storia dell’umanità e soprattutto più aperti.

 



I DINOSAURI SI SONO ESTINTI
PERCHÉ NON SEPPERO ADATTARSI
AL LORO AMBIENTE IN CONTINUA
EVOLUZIONE. NOI CI ESTINGUEREMO
SE NON SAREMO IN GRADO DI
ADATTARCI A UN AMBIENTE CHE
CONTIENE ASTRONAVI, COMPUTER
E ARMI TERMONUCLEARI
Arthur C. Clarke ”

 

Dopo una formazione da Industrial Designer è stato ricercatore
scientifi co a tempo pieno esplorando le opportunità date dalle nuove
tecnologie nel campo del design delle esperienze. Ha quindi continuato
ad evolversi verso il Design strategico, ha conseguito un master in
Business Design e ha iniziato ad applicare la metodologia del Design
Thinking con aziende rivolte al futuro.
Insegna Interaction Design e Design Thinking a una nuova generazione
di designer e imprenditori, sia al Politecnico di Milano, sia alla Libera
Università di Bolzano.
Dal 2019 è tra i soci fondatori di Lato, un’azienda italiana di Design
Innovation.
lato.design
DESIGNER
DESIGNER
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Giancarlo Orsini
SIMONE SIMONELLI

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
7.
L’INNOVAZIONE NON HA ETÀ
I CONFINI DEL SAPERE – IL PROGRESSO
È SOLO PER I GIOVANI? – L’ITALIA DELLO
TSUNAMI GRIGIO – CAMBIARE PARADIGMA
PER UNA NUOVA LONGEVITÀ – 12 PASSI
PER VIVERE MEGLIO
Sono crollati i muri tra gli Stati, dicevamo, e quelli tra i
settori, rendendoci parte di un insieme che è influenzato
e influenza ognuno di noi, nella vita professionale tanto in
quella privata e uno degli aspetti più rilevanti a cui stiamo
assistendo riguarda la scienza. Dopo essere stata a lungo
appannaggio di una nicchia ristretta di persone, limitata a
quei pochi che avevano le risorse e i requisiti (in termini
di formazione, status e anche di età) per accedervi e
occuparsene a tempo pieno, ora la scienza ha cambiato
paradigma.
Dalla base dell’alfabetizzazione, fino al vertice del premio
scientifico, i confini del sapere si sono progressivamente
sgretolati finché, quasi senza accorgercene, ci siamo
abituati ad associare alla giovinezza tanto il progresso
scientifico, quanto i cambiamenti e le fortune a essi
associati. Ed è proprio Fortune, in un classifica recente36,
a ricordarci di Mark Zuckerberg (miliardario a 23 anni),
di Jeff Bezos (che a 30 anni ha fondato Cadabra, cioè
Amazon), di Kylie Jenner (a 21 è stata incoronata come
l’imprenditrice “che si è fatta da sola” più giovane di
sempre) o, ancora, dei fratelli Collison, John e Patrick
(fondatori di Stripe, entrambi under 30).

 

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Giancarlo Orsini
Ora, visto che nell’immaginario collettivo il progresso è
giovane, viene da chiederci se ci sia ancora spazio per
i meno giovani. A quanto pare, c’è, e “più di quanto si
creda”, secondo uno studio37 condotto da alcuni ricercatori
dell’Università dell’Ohio  che hanno preso in esame i premi
Nobel dal 1901 fino al 2008, raccogliendo un campione di
525 vincitori per scoprire l’età degli stessi. Stando infatti
ai risultati dell’analisi, “l’immagine del giovane e brillante
scienziato in grado di raggiungere risultati di eccellenza
è sempre più legata al passato”. Se fino al 1905 circa i
due terzi dei vincitori avevano condotto le loro ricerche
prima dei 40 anni e il 20 per cento prima di compierne
30, dal 2000 in avanti, emerge invece come quasi nessun
grande risultato scientifico sia stato raggiunto sotto i
30 anni. Eccezioni ce ne sono, certo38, ma il fatto che il
progresso e la scienza siano sempre più aperti (cioè non
limitati a una specifica e ristretta fascia di età) è un dato
incoraggiante. Soprattutto alla luce del numero crescente
di diversamente giovani che abitano il nostro pianeta.
Un’altra domanda che possiamo farci è a quale età
smettiamo di essere utili, di contribuire al progresso, di
avere chance di inventare qualcosa?
Il quesito ha rilevanza perché mentre scrivo, l’età media
della popolazione del pianeta sta crescendo, di pari passo
all’anzianità diffusa e alle possibilità non solo di vivere
più a lungo, ma di farlo in forma, invecchiando bene e
continuando a essere più produttivi. A volte anche più di
prima. Nell’Italia definita “dello tsunami grigio” ogni cento
giovani sotto i 15 anni, ci sono 168 senior, ovvero esseri
umani che hanno superato le 65 primavere. Secondo
l’Istat, nel 2050 gli over 65 supereranno i 20 milioni e gli
under 25 saranno meno di 14 milioni.
Uno dei maggiori esperti di problemi legati ai processi

 

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biologici dell’invecchiamento, il geriatra italiano Carlo
Vergani, dice che è già “suonato il gong”. «La nuova
longevità» – sostiene il medico – «ha creato un intermezzo,
terza e quarta età sono saltate: non si è più giovani, non
si è ancora vecchi.»
«Quando il medico ha iniziato a interessarsi degli anziani,»
– come racconta in un’intervista al Corriere della Sera39 –
«in Italia la speranza di vita alla nascita era di 70 anni;
oggi è salita a 83. Viviamo mediamente 13 anni in più e
ci sono due pensionati ogni tre occupati.» Vivere di più
e soprattutto meglio, più in salute, ci permette di essere
all’interno della società, e di continuare a esserle utili
anche una volta risolti i problemi dell’adolescenza e della
post adolescenza.
Carl Honoré è un giornalista canadese nato nel 1967. Un
giorno, poco prima di compiere 50 anni, sta giocando a
hockey su ghiaccio con un gruppo di amici quando uno
di loro gli fa notare che è il giocatore più vecchio tra tutti
i concorrenti del torneo (240 persone). Pur essendo
ovviamente conscio di non essere più un ragazzino, la
rivelazione lo tocca nel profondo fino a trasformarsi in
un’epifania che poi lo spinge a scrivere il primo dei libri40
che lo renderanno famoso in tutto il pianeta come il
profeta della lentezza. Honoré si è chiesto cosa volesse
dire invecchiare e si è domandato dove sarebbe stato tra
dieci o vent’anni. Per rispondere a queste domande, il
giornalista ha girato il mondo in cerca di persone attive e
di successo, senza limitarsi a gli “over” speciali, a quelli
cioè fuori dalla norma, ma anzi considerando soprattutto
lo stato d’animo del 70-80enne medio che può continuare
a lavorare, a fare volontariato, ad avviare nuove imprese,
praticare sport competitivi, e – perché no – fare sesso.

 

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Giancarlo Orsini
I 12 PASSI PER VIVERE MEGLIO
Il profilo che ne risulta è quello di un essere umano che
Honoré chiama B-older (più vecchio), che può smettere
di preoccuparsi del processo di invecchiamento per
sfruttare al massimo gli anni guadagnati e al quale dedica
12 consigli  (che chiama “passi”) per vivere al meglio41.
1. Se pensi a te stesso come vecchio, sarai vecchio. Ignora
chi ti parla di demenza e solitudine.
2. Esci dalla tua zona di comfort. Liberati dalle etichette;
continua a sperimentare; sfida te stesso e gli stereotipi su
di te.
3. Cerca di rimanere in salute. Mangiare bene e fare
esercizio fa bene al cervello e al corpo.
4. Cerca modelli positivi, capaci di ispirarti: Helen Mirren,
David Attenborough e, soprattutto, Michelangelo, che
visse fino a 88 anni e trascorse gli ultimi 20 anni della sua
vita lavorando alla costruzione della Basilica di San Pietro
a Roma.
5. Cerca di diventare la persona che hai sempre desiderato
essere:  dopo i 60 si è più liberi e meno giudicati dagli altri.
6. Non frequentare solo coetanei: mescola tra le
generazioni il più possibile.
7. Lascia andare le cose. Semplifica la tua vita. Ti rimane
meno tempo, quindi fa’ in modo che conti.
8. Perderai alcune cose – velocità, resistenza, un po’ di
agilità mentale – ma ne guadagnerai altre.
9. L’onestà è la migliore politica. Non cercare di far finta di
non avere meno anni di quelli che hai.
10. La società ci dice che il sesso, l’amore e il romanticismo
appartengono ai giovani, ma non è vero perché non ci sono
regole.
11. Ignora chi dice che non puoi insegnare a un cane
vecchio cose nuove. La verità è che puoi. Nonostante

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
la percezione comune che la creatività sia riservata ai
giovani, possiamo diventare più creativi invecchiando. Le
nostre reti neurali si allentano, è vero, ma siamo più liberi,
anche di sfidare il pensiero di gruppo.
12. Non fare finta che la morte non arrivi. Quando il tempo
sta per scadere, diventa più prezioso ed è un tempo che
dà forma alla vita e, in qualche modo, significato.
Per Honoré la vecchiaia – termine che il giornalista
suggerisce di non usare – è un’età d’oro e siccome i non
più giovani sono più dei giovani, non ha senso ignorarli.
Tantomeno emarginarli. Cosa propone quindi? Serve
cambiare paradigma, a partire dall’educazione: passare
20 anni all’interno del sistema scolastico, lavorare per
i successivi 40 e poi ritirarci dopo i 60 è un’abitudine
obsoleta, un concetto da ridisegnare alla luce delle
possibilità che abbiamo.
La nostra esistenza può essere ancora più aperta, migliore,
e più fluida, con meno muri che ci dividano e più ponti che
invece ci uniscano.

 



IL PROGRESSO È GIOVANE
MA L’INNOVAZIONE
NON HA ETÀ
Giancarlo Orsini

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
MATTIA FRANZONI
Mattia Franzoni è un appassionato di tecnologia sin dalla prima
infanzia. A 16 anni ha cominciato a studiare ed interessarsi al mondo
del transumanesimo, capendo che era quello che aveva cercato per
tutta la vita. È stato uno dei primi in Italia a farsi impiantare un chip
nfc/rfi d sottopelle.
Attualmente sta lavorando in questo settore dedicandosi alla creazione
dell’infrastruttura necessaria per poter rendere comune l’utilizzo di
questa tecnologia.
IMPRENDITORE
IMPRENDITORE

 

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
8.
CONNESSIONI
FARE RETE – IPERSPECIALISTI E TRADUTTORI
– STUDI VERTICALI E SCAVI ORIZZONTALI –
I DISTRETTI DEL FUTURO
La storia dei sei gradi di separazione, ormai, la conoscono
tutti. Si tratta di una vecchia ipotesi secondo cui tra
due persone qualsiasi, in qualsiasi parte del mondo,
in qualsiasi momento, non esistono non più di sei
intermediari (in media). Questo vuol dire che una persona
nata nel più remoto villaggio islandese potrebbe (in teoria)
arrivare a stringere la mano del presidente degli Stati Uniti
– o di chiunque altro – in una manciata di appuntamenti.
Sebbene la “legge” (che legge non è) sia stata formulata da
uno scrittore e sia entrata nel nostro immaginario perché
ripresa molte volte dal cinema e dalla letteratura, i più
recenti studi stanno dimostrando quanto sia (più o meno)
corretta. Esperimenti matematici o sul campo sempre
più sofisticati ci dicono che è proprio così: nonostante gli
esseri umani siano più di sette miliardi e vivano distribuiti
su una superficie di 149 milioni di chilometri quadrati, si
“conoscono” praticamente tutti. Almeno in potenza. Non
ci deve sorprendere. È solo la dimostrazione matematica
di un concetto che conosciamo bene da un paio di millenni:
“L’uomo è un animale sociale”. Ha sempre vissuto in
gruppo (o comunità, o clan, o famiglie, chiamatele come
volete) e il fatto che oggi questi gruppi siano meno presenti
nelle nostre vite di quanto non lo fossero in passato è solo
un accidente della storia: per la stragrande maggioranza

 

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Giancarlo Orsini
del nostro tempo su questo pianeta non è stato così. Agli
albori della società tecnologica che conosciamo oggi,
chi nasceva in un posto, quasi sempre, era costretto a
restare in quel posto per tutto il resto della vita. Trovare
i mezzi (economici, sociali e intellettuali) per rinnegare
il luogo di nascita non era cosa facile, e – soprattutto –
non era concesso a tutti. Ma la vita in comunità non era
solo una “prigione” sociale. Offriva di certo dei vantaggi.
Per esempio, spesso non era necessario viaggiare da
un capo all’altro del mondo o visitare affollatissimi siti
internet per trovare buoni compagni di vita. Altrettanto
spesso si faceva presto a trovare i propri acerrimi nemici,
che potevano essere i vicini con cui c’era sempre una
questione di confine da dirimere, o quelli storici con cui il
tuo clan litigava da così tanto tempo che nessuno riusciva
a ricordare nemmeno perché. Nel tuo villaggio poteva
esserci l’amore della tua vita, o la persona che lo avrebbe
ammazzato. Nel tuo villaggio c’erano le regole di condotta
e la cultura di base che avrebbe contribuito a renderti
l’essere umano che saresti poi diventato, con i suoi pregi
e i suoi difetti. La vita era semplice, in senso positivo ma
anche negativo: in negativo perché offriva poco più del
minimo necessario per sopravvivere; in positivo perché
offriva anche le reti di sicurezza contro la più grande delle
paure che attanaglia da sempre qualunque individuo della
nostra specie: quella di essere solo contro le forze di una
natura molto ma molto più potenti di lui.
Siamo fatti così: fragili e limitati. Nessuno di noi è più forte
di una tigre, ma in un gruppo sufficientemente preparato
potremmo sterminare (e ci siamo quasi riusciti, purtroppo)
tutte le tigri dell’Asia. Poi sono arrivati i trasporti, le
telecomunicazioni, la velocità e – in una parola un po’
vintage – la modernità. Abbiamo trovato surrogati via via

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
più uniformi e sempre meno efficaci per stare insieme
ai nostri simili: le grandi città, i quartieri, i condomini, le
fabbriche, gli uffici, i social network, i partiti politici, le
associazioni, i club, le squadra di calcio. I villaggi hanno
perso il proprio essenziale ruolo di salvaguardia della
debolezza dei singoli uomini, ma non è scomparsa la
nostra voglia di stare insieme.
NETWORKING: SEI GRADI DI UNIONE
“Fare networking” è una frase che viene sussurrata spesso
sottovoce. La sentiamo nei saloni di marmo degli atenei
più prestigiosi del mondo, nei salotti buoni con i divanetti
in pelle, magari con un drink tra le mani, nel retrobottega
di qualsiasi attività commerciale.
Eppure, fare rete ha acquisito una cattiva reputazione:
viene vista come un privilegio di pochi, come lo strumento
con cui gli egoisti perseguono i propri scopi a discapito di
quelli di tutti gli altri.
Al tempo stesso, fare rete è la cosa più antica che sappiamo
fare. È quello che ci ha reso così potenti e duraturi,
nonostante la nostra mortalità e il fatto che il nostro corpo
sia ricoperto da una pelle così sottile che basta un legnetto
tagliato nella giusta angolazione per perforarla a morte.
Fare rete, in sé, non è sbagliato. Possono essere sbagliati
gli scopi (e quanto spesso lo sono!) ma connettere le
intelligenze è un’avventura non solo essenziale per
qualsiasi essere umano che voglia vivere una vita degna
di questo nome, ma la strada principale attraverso cui
passerà il nostro successo con le grandi sfide che ci
aspettano.
Le reti sono sbagliate quando escludono qualcuno
per com’è fatto: il colore della pelle o l’orientamento
sessuale; o quando sono dirette ad escludere qualcun

 

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Giancarlo Orsini
altro da qualcosa. È quello il male. Ma le reti in generale
sono essenziali perché permettono di trovare soluzioni a
problemi troppo grandi anche per il più intelligente degli
esseri umani su questo pianeta. Il totale di due o più menti
che si uniscono è sempre più grande della somma delle
loro capacità: perché due persone accomunate da un solo
obiettivo non sono solo capaci di risolvere un problema,
ma sono capaci di spingersi ad andare oltre, di motivarsi o
di ispirarsi a vicenda.
Il fuoco della creatività umana non è facile da tenere
acceso per lunghi periodi. Per farlo ha sempre bisogno di
nuove scintille che arrivino da tutte le parti.
Se riusciremo a conquistare il futuro, sarà solo perché
avremmo avuto abbastanza reti di storie, motivazioni,
ispirazioni e visioni intorno a obiettivi comuni.
Le aziende in cui tutti lavorano otto ore al giorno spostando
dati da una scrivania a un monitor hanno le ore contate.
Il lavoro per il lavoro è tempo perduto. Il futuro sarà di
chi sceglierà liberamente di lottare per averlo, dando il
contributo che vuole, come vuole, quando vuole.
Al determinismo disfattista di chi non vede nessun futuro
all’orizzonte, perché non possiamo modificare niente
dell’attuale stato delle cose, io contrappongo sempre
la connettività di chi riesce a fregarsene di cosa è stato
fatto o sia possibile fare, e semplicemente fa. Esistono
numerosissime sfide troppo grandi per una persona
sola. Ma nessuna lo è troppo per un gruppo di persone
sufficientemente
motivato,
sufficientemente
ampio,
sufficientemente diverso. Questa è una legge in cui credo.
Una società con il giusto grado di connessione è una
società che ha dentro di sé gli anticorpi e le resistenze
contro le sue più pericolose devianze. Non basta scovare
nuove tecnologie, c’è bisogno di metterle a disposizione

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
di chi ne saprà fare un buon uso. Così come per ottenere
buoni risultati non basta il sole: serve un seme, la giusta
terra, i giusti nutrienti, il giusto clima.
Senza la giusta connessione tra tutti gli elementi, un
seme è solo un seme, e come tale vale molto, molto
poco.
IPERSPECIALISTI E TRADUTTORI
In una sola edizione di qualsiasi quotidiano ci sono più
riferimenti, citazioni o pezzi di conoscenza di quanti non
fossero a disposizione del più erudito degli esseri umani
vissuto più di tre secoli fa.
Se siamo arrivati a questo punto, da un lato è stato
grazie alla diffusione democratica degli strumenti della
conoscenza (dai libri a basso costo, a Internet). Dall’altro,
per permettere a queste scoperte di essere diffuse,
qualcuno ha dovuto farle. Se siamo arrivati fin qui è perché
l’evoluzione della scienza (e dei metodi della conoscenza,
in generale) ha portato sempre più persone a esplorare
settori sempre più piccoli.
Mille anni fa l’erudito era chi sapeva molte cose su molti
argomenti. Oggi consideriamo luminare, sapiente, o
dotto chi è portatore di un sapere ristretto, limitato a un
argomento specifico, magari conosciuto al massimo livello
di dettaglio possibile, spesso così profondo da arrivare
all’essenza delle cosa studiata.
Poco conta, per noi, che lo stesso dotto sia incapace di
ripararsi da solo una presa, o di martellare un chiodo nel
muro senza fratturarsi un pollice.
L’iperspecializzazione dei settori della conoscenza ci ha
portato qui dove siamo. Abbiamo curato e poi sconfitto
malattie che flagellavano l’umanità per secoli. Abbiamo
moltiplicato esponenzialmente le capacità del pianeta

 

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Giancarlo Orsini
di sfamarci, di farci abitare, di coesistere in milioni in una
manciata di chilometri quadri.
Se oggi possiamo andare sulla Luna e persino pensare
di viverci, o se oggi possiamo contare sul fatto che in
caso di emergenza possiamo raggiungere un ospedale
lontanissimo con un elicottero, è perché c’è qualcuno che
ha passato la sua intera vita a pensare e poi realizzare un
pezzetto piccolissimo di un modulo lunare, la fisica per far
volare in cielo un mezzo, o la giusta tecnica per pilotarlo.
Il problema? È che se tutti tengono la testa bassa per
guardare al proprio piccolo (o grande) problema, non c’è
nessuno che possa implementare queste soluzioni in un
panorama più grande.
L’iperspecializzazione che ci ha consentito di produrre
molto più cibo, è la stessa che ci ha portato a consumare
le risorse che abbiamo per far crescere quel cibo, molto
oltre il loro punto di rinnovabilità.
Come abbiamo detto all’inizio, il mondo è un sistema
complessissimo di sistemi in costante scorrimento tra
loro, e le modifiche su uno hanno impatto su tutti gli altri
in modi e tempi difficilmente prevedibili. Le macchine
non hanno fatto che aumentare la profondità di analisi,
rendendo il problema ancora più visibile. I computer
facilitano i processi di specializzazione, facendo calcoli al
posto nostro, trovando pattern che i nostri occhi nudi non
sarebbero in grado di vedere. Iniziano a scarseggiare, però,
gli uomini dietro le macchine che possano distanziarsi e
guardare il problema da una prospettiva più ampia.
Non è un caso che esistano oggi tanti settori della medicina
quanti sono i componenti di un corpo umano. Il che va
benissimo per la ricerca, ma non dobbiamo dimenticare
che di persone dietro ognuna di quelle parti, ce n’è sempre
una e solo una.

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
Guardare la “big picture”, come dicono gli inglesi, è
compito degli umani.
Questo nessuno ce lo può togliere, e questo le macchine
non potranno farlo, mai. Non senza il nostro aiuto,
perlomeno.
Ecco
perché
nel
futuro
sarà
fondamentale,
agli
iperspecialisti, accompagnare figure di traduzione, esseri
umani che possano stare all’interfaccia tra discipline
lontanissime e diversissime tra loro, che ne sappiano
abbastanza da poterle capire, ma abbastanza poco da non
esserne inghiottiti. Professionisti in grado di correggere i
problemi della “coperta troppo corta”, cioè di quando una
tecnica o una invenzione in un settore crea negli altri più
problemi di quanti non ne risolva.
Dopo secoli di studi verticali, in cui ogni giovane scienziato,
o letterato, o ingegnere, o artista veniva calato a vita nel
piccolo pozzo del suo sapere, inizieremo a scavare in
orizzontale, permettendo alle diverse aree di unificarsi, di
accoppiarsi (o di scoppiarsi, secondo necessità o secondo
piacimento).
Che contributo può dare un artista alla scienza?
E un esperto di uragani alla filologia?
E un cuoco all’antropologia?
I DISTRETTI DEL FUTURO
Zygmunt Bauman chiamava la nostra “società liquida”.
Cioè una società priva delle grandi strutture di pensiero e
comportamento che avevano regolato la vita insieme fino
all’avvento della modernità. Gli individui, liberati dalle
rigide regole di comportamento a cui prima dovevano
sottostare, sono corsi lontani l’uno dall’altro, si sono
slegati, e sono diventati addirittura incapaci di formare
legami duraturi.

 

102
Giancarlo Orsini
L’avvento della società liquida non è senza problemi,
come abbiamo visto.
Una genitorialità liquida così come un matrimonio liquido
sono impegni a tempo, che una volta soddisfatti i requisiti
necessari, cessano di esistere.
I figli vanno via, la passione si spegne, e allora si smette di
essere genitori o conviventi. È liquido l’impegno politico,
sono liquidi gli studi, è liquido il mondo del lavoro.
Non c’è stabilità, che pure è stata una delle caratteristiche
della vita su questa terra. E nelle analisi di alcuni studiosi
si trovano le basi per tracciare il peggiore degli scenari
possibili: quello di un mondo senza più controllo, dove
ognuno bada a sé, e dunque tutto viene lasciato in balìa
degli istinti momentanei.
Non è troppo lontano dalla realtà, ma è inutile che mi
dilunghi su dove può portarci questa sorta di Far West in
chiave futurista: lascio agli sceneggiatori delle serie TV il
compito di raccontarlo.
Eppure, io – e sono in buona compagnia – credo che la
liquidità moderna abbia portato molte più opportunità di
quante non ne avessimo prima.
Credo che se abbondantemente bilanciata dagli appositi
strumenti di sostegno per chi ne ha bisogno (una cosa
molto più facile a dirsi che a farsi) possa essere il fattore
che permetterà all’umanità di liberarsi dei suoi più grandi
e gravi problemi.
Un’umanità liquida – anzi, chiamiamola libera – sarà capace
di trovare le forze per raggiungere i più grandi obiettivi che
siano mai stati raggiunti: primo tra tutti, iniziare a ripulire
il disastro ambientale che abbiamo combinato.
Intorno a piattaforme (di valori, di impegno, di obiettivi) si
potranno costruire forze di mercato e di persone che non
dovranno sottostare ai vincoli di territorio.

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
Se l’invenzione che ripulirà il cielo tossico di Beijinh ha
bisogno del contributo del migliore ingegnere dei materiali
possibile, e questo ingegnere non si trova in Cina, che
faccio? Abbandono il progetto?
Mi accontento di un ingegnere mediocre? Una volta la
risposta era sì.
Ma in un distretto liquido posso avere non solo un
ingegnere dei materiali in Nicaragua, ma anche un esperto
collaudatore di  quello specifico materiale in Romania, un
consulente finanziario a Londra, e così via.
L’epoca dei distretti in cui ci si faceva scudo a vicenda,
tenendo la produzione quanto più compatta fosse
possibile su un territorio, si avvia verso la fine.
Se il prodotto è digitale, o è digitale la sua ideazione – prima
ancora della produzione – significa che per ogni prodotto
o progetto o servizio o esperienza, io posso permettermi
di cercare di volta in volta la persona che fa al caso mio,
come e quando è comodo al progetto.
Non è quello che è già successo, in fondo?
Il crowdfunding è stata la mossa che ha permesso di
venire alla luce a molti progetti che oggi abbiamo tutti
sotto il naso, e che non sarebbe stato possibile produrre
se tutto si fosse basato sulle capacità di finanziamento di
un solo territorio, di un solo mercato, di un solo gruppo di
persone.
Il crowd design  (o open innovation, come la chiama
qualcuno) è – e sarà – la piattaforma che ci permetterà di
risolvere i casini che stanno per arrivare.
Perché dopotutto, anche se l’essere umano ha perso le
sue certezze “solide”, l’acqua “liquida” è il posto da dove
veniamo, ed è quello di cui siamo fatti.

 



LA CONNESSIONE CAMBIA
LA PROSPETTIVA
Umberto Eco

 

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Davide Dal Maso, classe 1995, secondo Forbes tra i Top Under30
italiani, è docente e coach di Social Media Marketing, Fondatore della no
profi t sulle potenzialità e i rischi del web “Social Warning – Movimento
Etico Digitale” e contributor di Millionaire su cui scrive di marketing ed
employer branding legati alla Generazione Z.
SOCIAL MEDIA COACH
SOCIAL MEDIA COACH
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
DAVIDE DAL MASO
davidedalmaso.net

 

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
9.
IL FUTURO DEL LAVORO
IL FUTURO DEL MONDO, DEL LAVORO,
DELL’UOMO
Ne abbiamo parlato molte volte nel corso di queste pagine,
e ne parleremo ancora. È un argomento che abbiamo
toccato da molti punti di vista, da diverse angolazioni,
perché è connesso a molti o quasi tutti gli altri. Ora non
possiamo che affrontarlo direttamente. Perché un libro
che vuole provare a mostrare la strada verso il futuro, non
può fare a meno di parlare del tema più rilevante da qui
alla fine di questo secolo: il cambiamento climatico.
Quella ambientale è una sfida diversa dalle altre che
abbiamo affrontato fino a questo momento. L’umanità –
come abbiamo visto – è sempre stata sull’orlo di un disastro
dopo l’altro. Dopotutto siamo ammassi di carne piuttosto
delicati, e per sopravvivere (senza parlare di quello che
ci serve per vivere bene) abbiamo bisogno di un sistema
equilibrato che ci fornisca il giusto clima, la giusta acqua,
il giusto cibo, e persino la giusta connessione sociale. Con
molto poco spazio per le tolleranze.
A differenza di altre minacce alla nostra permanenza su
questa terra, dunque, questa è la prima che non possiamo
disinnescare solo “volendolo” o “conoscendola” a meno
che dietro quel “volere” non ci sia la completa negazione
del nostro stile di vita fino a questo punto. La peste ci faceva
paura perché non la conoscevamo. Appena abbiamo avuto
abbastanza conoscenza per capire come si propagasse,
l’abbiamo fermata. La guerra fredda – quando bastava che

 

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Giancarlo Orsini
qualcuno, dall’ufficio Ovale o dal Cremlino, premesse una
manciata di bottoni per sterminare un intero emisfero – è
finita con una serie di trattati di pace tra i rappresentanti dei
due poli, e nel giro di pochi anni sono state smantellate una
quantità impressionante di bombe atomiche pronte al lancio.
Ora, con il riscaldamento globale, nonostante ne siamo gli
artefici, abbiamo costruito un interruttore troppo grande
e pesante perché lo potessero disattivare solo le persone
nelle stanze del potere. Per la prima volta, inoltre, le
conseguenze non si vedono solo in alcune aree della terra,
o in ambito militare: le conseguenze del cambiamento
climatico coinvolgono tutti. Ma proprio tutti.
È inutile fare un elenco esaustivo di quello che ci aspetta.
Ce ne sono già troppi, e tutti hanno lo stesso peccato
originale: sono previsioni, e come tali non servono ad
anticipare il futuro, ma a creare rappresentazioni mentali
per le persone, così che possano agire di conseguenza.
La crisi climatica (qualcuno la chiama emergenza)
minaccia l’innalzamento globale del livello del mare
di oltre mezzo metro. Città inestimabili come Venezia,
metropoli fondamentali come New York, o addirittura
intere nazioni asiatiche rischiano di finire sott’acqua.
Mareggiate parecchie volte più grandi di quelle che
conosciamo oggi contribuiranno a portare i danni molto
oltre i limiti delle coste (future o attuali). Faremo i conti
con uragani sempre più violenti e tempeste sempre più
frequenti raderanno al suolo milioni di quelle chiamavamo
case, e che in poche ore diventeranno un inestricabile
mucchio di fango e detriti. Milioni di persone i cui campi
coltivati saranno vittima del fuoco o di un’arsura che gli
si avvicina molto saranno costretti a fuggire, a cambiare
paese, a cambiare continente, andando a sovraffollare
aree che lo sono già e di conseguenza creando tensioni

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
politiche, sociali ed economiche. Si inaspriranno i controlli
di confini. Ma quando arriveremo a quel punto, non
esisterà muro abbastanza alto per tenere lontana la folla
di persone in cerca di acqua, cibo, riparo.
E tutto questo, se riusciamo a tenere il riscaldamento
entro i due gradi di media. Tutto questo se lo scioglimento
dei ghiacciai e l’accumulo di CO2 non sia già abbastanza
per innescare meccanismi retroattivi troppo grandi e
potenti per poter essere fermati.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite dice che siamo
proiettati parecchio (troppo) oltre una soglia da considerare
sicura perché la terra resti un posto confortevole per
ospitare la vita umana (e di tutti gli altri esseri viventi, non
dimentichiamolo, che di una terra di cui siamo gli unici
abitanti non ce ne facciamo niente). Siamo proiettati verso
una Terra inabitabile, e abbiamo poco più (o poco meno, a
seconda dei modelli matematici utilizzati) di una decina di
anni per raggiungere un livello di emissioni pari a 0.
Queste le previsioni. Dobbiamo crederci?
La risposta è: certo che sì, e chi dice di non crederci o è
in cattiva fede (ma quale interesse ci può essere di più
grande della nostra esistenza sul pianeta?), o è stupido,
o è tutti e due. Ci sono scienziati che dicono che queste
stime sono conservatrici, altri che dicono che il punto di
non ritorno lo abbiamo già passato.
È tutto finito, allora? Non ci resta che il panico?
La risposta è: certo che no. Serviranno misure radicali. E
qualunque sia la cifra di anni che ci resta per metterle in
atto, una cosa è certa: cambierà il nostro modo di vivere.
Stiamo per entrare in una nuova fase della nostra vita sulla
Terra, e se da una parte è una sensazione terrificante,
dall’altra non può che essere elettrizzante. Dobbiamo
iniziare a costruire resilienza perché i cambiamenti

 

110
Giancarlo Orsini
climatici arriveranno gradualmente, ma più velocemente
di quanto la nostra mente non ci voglia far credere. Sono
già qui.
Non credo che basterà una tecnologia a risolvere il
problema (che in realtà sono molti problemi messi
insieme). Molti, oggi, la pensino così. Sono tecno-ottimisti,
gasati dall’idea che c’è qualcuno, da qualche parte, che ci
sta già lavorando.
Ammetto che mi fa un po’ paura il fatto che tutti facciano
(facciamo!) finta di niente e aspettino che il vicino si metta
a studiare per risolvere un problema che non è di nessuno,
ma che invece riguarda la totalità delle persone vive.
L’entusiasmo per l’innovazione è il mio mestiere, ma
conosco anche le difficoltà che passano tra lo studio di
qualcosa in laboratorio e la sua implementazione nella
vita reale, specie su scala così grande come quella globale.
Siamo lontani dall’avere aerei in cielo che volano senza
immettere carbonio. E anche se virassimo verso le migliori
tecnologie possibili, anche se diventassimo tutti vegani,
dovremmo fare i conti con un’economia globale che è
fatta di popoli e nazioni con interessi diversi, e spesso in
contrasto tra loro.
Eppure – forse sono pazzo, o forse è solo la mia natura
– io credo che alla nostra specie – oggi – sia stata data
un’occasione enorme. Abbiamo gli strumenti (intellettuali,
filosofici, psicologici, tecnologici, matematici e così via)
per comprendere quello che sta per succedere.
Conosciamo cosa può funzionare, e come, e perché non
sta funzionando. Qualunque resistenza ci sia, abbiamo
il potere di toglierla. Ma ognuno di noi è troppo piccolo
per poter da solo trovare una soluzione. E non esiste
nazione al mondo abbastanza grande per poter risolvere
il problema. Eppure la soluzione, quando arriverà – se

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
arriverà – verrà data dalla cooperazione di tutti, ma
proprio tutti. Non sarà facile, e non è detto che sarà bello.
Ma sarà entusiasmante, e sarà il punto migliore della
storia dell’umanità per provare a costruire, di nuovo, dal
principio, qualcosa che si avvicini un po’ di più a un mondo
migliore. Io ho scelto di non avere figli per altre ragioni che
non siano il cambiamento climatico. E più volte – specie
quando sono nelle scuole, o quando tra le luci accecanti
del palco riesco a scorgere la testina o le gambine di
qualche spettatore che nemmeno tocca con i piedi per
terra – mi sono chiesto se sia un atto di amore o di crudeltà
scegliere di aggiungere una nuova vita a un mondo che ne
è già pieno. In… questo mondo, poi.
Il futuro che per noi occidentali della mia generazione
era un bene garantito – dopo millenni di guerre, malattie,
violenze all’ordine del giorno – ora è stato strappato di
colpo, per via di qualcosa che potevamo evitare tutti – e
nel corso delle nostre vite! – e non l’abbiamo fatto. Tra
questi giovani che sono appena nati o che stanno per
farlo, incredibile a pensarlo, c’è già chi ci potrà portare
fuori dall’emergenza.
Ci sarà quello che contribuirà con le parole, o con la vita,
o con un film, o con l’ingegneria, o con la filosofia, o con la
semplice manodopera: tra di loro ci saranno i contributori
una nuova umanità, a un nuovo modello di vita, finalmente
liberi di fare i conti con il fatto che la nostra esistenza è
limitata, così come lo sono le nostre risorse, liberandoci da
secoli di croste di un modo di vivere infestato dai peggiori
difetti che possano affliggere l’uomo: lo sfruttamento,
l’odio, l’egoismo.
Ci toccherà vivere su una superficie terrestre più piccola
con una popolazione più ampia. Dovremo inventare nuovi
sistemi di coabitazione.

 

112
Giancarlo Orsini
Ci toccherà vivere con meno cose, smettendo di fare
finta che siano infinite.
Le malattie dell’occidente opulento – le stesse malattie che
oggi ci affanniamo così tanto a curare – scompariranno, da
sole, perché scompariranno le cause che contribuiscono
a crearle.
Sarà un mondo turbolento, e con più conflitti.
Ma sarà anche un mondo che dovrà fare i conti con cose
più essenziali rispetto ai vestiti delle star, al colore della
pelle dei calciatori, alla lingua o alla religione di qualcuno.
Gli alimenti saranno prodotti in maniera intensiva e senza
sfruttamenti, perché non potremo permetterci (e non
ci sarà più bisogno di) di sprechi. Magari, per la prima
volta, mangeremo tutti. L’acqua sarà un bene prezioso,
e finalmente lo considereremo come tale. Un mondo
più caldo di 4°C prevederà nuove forme di adattamento
alla vita, una cosa che gli esseri umani sono bravissimi
a fare. Ma non abbiamo molto tempo prima che arrivi il
tempo delle decisioni dalle quali non si torna più indietro.
Dovremo discutere, dialogare tra persone e tra nazioni, tra
continenti e tra terre lontanissime tra loro, e scegliere se
investire su un pezzo piccolissimo di presente (e solo per
qualcuno) o sul futuro di tutti.
È in gioco tutto quello che abbiamo.
Non solo le nostre vite, ma il senso stesso dell’esistere.
Il nostro passato, la nostra cultura, i segni che abbiamo
lasciato sulla terra (e anche nello spazio) saranno valsi a
nulla se non ci sarà nessuno a poterne godere.
Il mondo sarà più automatizzato, e non sarà un male.
Si lavorerà meno, e non sarà un male. Concentreremo i
nostri sforzi come mai prima verso obiettivi che abbiano a
cuore il benessere (e la sostenibilità) dell’intero progetto
umano. Lo faremo, anzi, meglio di prima, considerato che

 

113
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l’ultima volta che le nazioni si sono messe insieme per un
obiettivo davvero comune era per combattere la guerra
più sanguinolenta e fratricida di tutte.
Ci concentreremo su quegli aspetti della vita per cui vale
davvero la pena di vivere, troveremo soluzioni innovative
e creative.
Investiremo tutto quello che abbiamo.
Sarà una scommessa. Sarà una promessa. Sarà un
risveglio. Sarà un regalo.

 



NON ABBIAMO MOLTO TEMPO
PRIMA CHE ARRIVI IL TEMPO DELLE
DECISIONI DALLE QUALI NON SI
TORNA PIÙ INDIETRO: IL FUTURO
È OGGI. E IN GIOCO CI SIAMO NOI
Giancarlo Orsini

 

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Vittoria Cicchetti nasce a Crema il 13 maggio 1969.
Fin da piccola sviluppa una grande passione per i viaggi e per esplorare
mondi nuovi. La sua grande intraprendenza la porta a fondare nel 1994
la Regi, azienda di produzione cosmetica che in pochi anni diventa
leader nel settore.
Affi ancata da un team giovane, Vittoria continua ad essere la forza
motrice e creativa dell’azienda, che ha fatto il suo punto di forza
nell’unione tra passione, entusiasmo e innovazione.
CEO REGI Srl
CEO REGI Srl
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VITTORIA CICCHETTI
regi.it

 

 

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10.
PROTAGONISTI
DEL NOSTRO TEMPO
LE REGOLE DEL GIOCO – FARE SQUADRA.
L’INNOVAZIONE DEL PENSIERO – DIGITAL
VALLEY E STATI DIGITALI – IL NUOVO MONDO
– NUOVE DIMENSIONI – IL DESTINO DELLE
SPECIE
«L’Intelligenza Artificiale è fatta per seguire le regole, l’essere
umano per infrangerle o riscriverle.» Così si è espresso
Ralph-Martin Soe intervenendo al Digital Summit 2019 di
Tallin, dove si è parlato soprattutto di Intelligenza Artificiale,
e del rapporto dell’uomo con questo tipo di tecnologia42.
Infrangere, riscrivere le regole del gioco, significa essere
protagonisti. Una cosa che l’essere umano sa fare
benissimo, da sempre.
Si tratta di (nell’ordine, più o meno): osservare, sentire,
comprendere, valutare, confrontarsi, scegliere, agire.
In una parola: essere.
Essere protagonisti, allora, del proprio tempo e del proprio
spazio, significa fare un passo in avanti, giocare d’anticipo,
senza aspettare di essere travolti dal tempo, dal futuro,
dall’innovazione, dai nuovi device, dalla rete, da nuovi
paradigmi e sistemi di pensiero, o da chi è (o sembra
essere) più giovane, forte e sveglio di noi.
Protagonista di un tempo passato fu senz’altro il primo
essere umano che per farsi capire meglio rischiò di non
farsi capire per niente, e sostituì al verso inarticolato la
prima parola.

 

118
Giancarlo Orsini
Sono protagonisti di oggi il ragazzo o la ragazza che
decidono di scommettere su loro stessi e di aprire una
startup restando nel fondo delle campagne siciliane,
abruzzesi, liguri o friulane. Oppure il consumatore che
sceglie di acquistare la verdura al mercato locale, anche
se costa qualcosina di più, perché è senza imballaggi
di plastica, e sa che, per arrivare su quel banco, quel
pomodoro e quel sedano hanno percorso pochi chilometri,
forse nemmeno un chilometro, e che per questo l’aria, lì
intorno, potrebbe essere più pulita di un’x infinitesimale,
ma intanto è già qualcosa.
Nel grande e nel piccolo, sia che rimanga o meno nella
Storia con la esse maiuscola, è protagonista colui che
non aspetta che qualcun altro gli dica cosa fare, quando
farlo, come farlo, ma che, se vede un’opportunità, prova a
prevederne il successo e a coglierla.
Protagonista è chi sa che per ogni problema esiste (o può
esistere) una risorsa per superarlo, aggirarlo, evitarlo,
risolverlo, come la ragazzina alla quale la madre aveva
confiscato lo smartphone, e che ha trovato il modo di
continuare a twittare da un frigorifero smart43.
Per tornare alle “regole del gioco”, io non credo nei
vincoli, nelle imposizioni. Ma nelle abilità personali e
nella possibilità di sviluppare queste abilità, qualunque
esse siano. Credo nella capacità di guardare oltre con
determinazione e coraggio. E quindi nelle risorse di
questo tempo, che ci consentono, proprio e soprattutto,
di “guardare in avanti”.
Credo nelle risorse quasi infinite dell’oggi, ovvero
nel terreno dentro il quale il seme del futuro sta già
germogliando.
Ovviamente, non tutti i terreni sono uguali. Pensiamo alla
produzione vinicola. Un suolo argilloso è ideale per la

 

119
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produzione del Sangiovese e quindi del Chianti, uno più
sabbioso per il Nebbiolo, ovvero per il Barolo. Ma poi ci
sono suoli calcarei, limosi, acidi ecc.
Spetta a noi riconoscere il terreno dove piantare il seme
che abbiamo in mano (ovvero dentro di noi). Oppure
scegliere di andare a cercare il seme giusto per il terreno
che ci sta sotto i piedi. Dipende, anche, dal temperamento
di ognuno.
Avere l’opportunità di essere protagonisti è avere
l’opportunità di scegliersi la vita migliore. È questo che ci
regala un presente lanciato verso il futuro; una condizione
che i nostri genitori, nonni, bisnonni e via dicendo non
hanno, se non in minima parte, conosciuto.
Tutti i vincoli stanno cadendo. Di spazio e di tempo. Tutte
le scuse del vorrei ma non posso.
Chi è disposto a spostarsi, chi è contento di viaggiare,
conoscere luoghi e persone diverse, può portare il proprio
seme lontano.
Chi invece vuole o deve rimanere, perché, metti il caso,
è attaccato alle proprie radici, può ospitare il seme d’un
luogo straniero, curarlo a casa propria e farlo crescere.
Niente è precluso a priori.
Tutto dipende da noi. E proprio il fatto che esistano e che
si continuino a produrre tecnologie sempre più efficienti,
capaci, interattive, flessibili, intelligenti, leggere, fa sì che,
ancora di più, tutto quanto dipenda solo e soltanto da noi.
La tecnologia ci consegna il futuro. La chiave per il futuro,
per un futuro diverso, più umano, più partecipato, più
corrispondente ai nostri bisogni, necessità, sogni e
desideri.
Perché la tecnologia è con l’uomo e
per l’uomo. Da sola, non è nulla.

 

120
Giancarlo Orsini
Da sola, somiglia a una trebbiatrice intelligente appollaiata
sopra una duna del Sahara.
Chi ce l’ha messa?
Che sta facendo?
Nulla. Si sta arrugginendo.
Ecco cosa succederebbe se abdicassimo, e ci lasciassimo
trascinare dalle paure irrazionali dei futuri possibili (o
impossibili). Se lasciassimo il mondo ai robot. Sarebbe
una delusione immensa, altro che singolarità tecnologica.
Forse, per un breve tempo, le macchine continuerebbero
a imparare, a lavorare, a muoversi, ammettiamo pure
che possano auto-costruirsi e replicarsi. Ma la catena si
avvolgerebbe ben presto su se stessa, strozzandosi.
Perché?
Perché le macchine non possono essere protagoniste.
Non fanno, da sole, un passo in avanti.
Avete mai visto una Due Cavalli diventare una Ferrari?
Avete mai visto un robot mutare la propria natura? Ci si
arriverà? No, dico io. Perché il robot non ha una natura
vera e propria, come la intendiamo noi, ma è un oggetto,
un prodotto della natura, un prodotto dell’uomo.
Non ha ambizioni, né aspettative.
Come dice Federico Faggin, la macchina non ha coscienza.
Tutte queste tecnologie straordinarie che ci circondano,
fonti di sviluppo, di conoscenza, di diverse opportunità,
sono solo degli strumenti potenti, potentissimi, a nostro
servizio.
Le macchine intelligenti ci consentono di operare delle
scelte più consapevoli, perché ci forniscono dei dati e dei
quadri di dati così precisi quali noi da soli non potremo mai.
Ma se non sono guidate da una visione, da una strategia,
se non sono accompagnate da un processo interpretativo,
sono come cumuli di rottami in una discarica.

 

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Rottami fighissimi, non c’è che dire, ma inutili.
Allora, e questo è un punto fondamentale, le tecnologie
ci saranno e già ci sono utili non per costruire sempre e
solo nuove tecnologie, nuovi oggetti, nuovi dispositivi,
nuovi robot, ma per superare oggetti e device, e stabilire
delle nuove strategie, ovvero per sfruttare i giacimenti
inestimabili ancora intatti o poco conosciuti che fremono
dentro di noi…
Ci servono per fare squadra.
E farlo in un modo migliore.
Per fare umanità.
E farlo in un modo migliore. Per vivere in un modo (e in un
mondo) migliore.
Proviamo a seguirne il filo, a metà tra l’oggi e il domani,
con qualche esempio.
Ho già parlato dell’innovazione di significato come del livello
successivo, come del vero obbiettivo dell’innovazione,
che non è più una semplice innovazione del prodotto, ma
rappresenta invece…
… l’innovazione del pensiero.
Lo sviluppo delle nuove tecnologie intelligenti (soprattutto
la loro diffusione nella società, l’integrazione ambientale
di questo tipo di sistemi) ha portato e porterà con sé un
immenso sviluppo del pensiero, del ragionamento.
Già ci poniamo una gran quantità di domande filosofiche,
etiche, strategiche su che cosa sia questa tecnologia, su
come utilizzarla bene, sulle conseguenze che potrebbe
portare con sé. Domande che hanno in parte già avuto,
ma che vogliono ancora avere risposte nuove, sul senso
della vita, su come vivere al meglio, su tutto ciò che
l’essere umano da sempre si è chiesto e a cui sempre ha
dato risposte a volte diverse, a volte simili, a seconda del

 

122
Giancarlo Orsini
momento storico o del luogo in cui si trovava a vivere.
Da tutto ciò la civiltà ne guadagna e fiorisce. È sempre
stato così, nella storia.
Innovazioni
rivoluzionarie
chiedono
risposte
rivoluzionarie.
Si creano, per esempio, nuove strutture d’organizzazione.
E queste strutture si occupano di altre strutture, di processi
in grado di risolvere ancora nuovi problemi e via dicendo.
È quello che fa, per esempio, il Design Thinking, unendo
capacità di analisi e creatività, ovvero: prevedibilità (della
“materia prima”) e imprevedibilità (del suo sviluppo).
Sono strutture che, modellate e ispirate anche dalla
tecnologia, la ispirano a loro volta. Sono strutture non
gerarchiche, strutture semmai cellulari, che prendono a
modello l’organizzazione biologica degli organismi viventi;
ovvero i modelli vincenti per eccellenza, i migliori in
assoluto.
In questi casi, si vede bene come la tecnologia non sia un
fine, un qualcosa di figo e di accessorio da mostrare per
essere in o cool, ma un mezzo straordinario che permette
l’evoluzione dei rapporti interpersonali, lo stabilirsi di
nuove connessioni anche di là da un tempo e da uno
spazio specifici, l’integrazione di tecniche, competenze,
conoscenze e passioni. Uno strumento che produce nuove
forme di pensiero, nuove risposte, nuove strategie, che
si concretizzano, per esempio, in quei sistemi operativi
umani che sono le…
… digital valley.
Ovvero spazi di collaborazione dove la realtà non è più
né virtuale né “reale”, ma aumentata e integrata, diffusa,
customizzata.
E la Valley non è più né Silicon né Padana.

 

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Che sto dicendo?
Che basta un portatile per lavorare.
Non è una novità, certo. Però c’è sempre un potenziale
che rimane inespresso.
L’unione di diversi professionisti, freelance, creativi,
tecnici, sparpagliati in ogni lato del globo terrestre può
creare delle aziende totalmente digitali.
Ognuno è in grado di scegliersi il settore che più fa per
lui, non importa dove sia nel mondo. Ed ogni azienda ha
la possibilità di scegliere i dipendenti migliori per i propri
obbiettivi, non importa dove siano, né che lingua parlino.
Digitali sono e saranno gli spazi di co-working, mentre
gli spazi di vita saranno i più diversi, dalle cime delle
montagne innevate alle spiagge dei Mari del Sud.
Tutto ciò consentirà di essere… più felici, semplicemente,
perché potremo scegliere dove lavorare e con chi,
azzerare i fattori di stress dovuti a un posto di lavoro non
perfettamente in linea con noi stessi, alla vicinanza coatta
con colleghi che non sopportiamo, all’abitare in posti
sovraffollati e costosi, dalla burocrazia soffocante…
Questo, per i cosiddetti nomadi digitali.  Ma per chi invece
non vuole o non può spostarsi, un modello virtuoso da
seguire (integrato e non opposto al precedente) potrebbe
essere quello del provare a rubare…
… il tesoro di Kratt.
Torniamo
al
Digital
Summit
2019
di
Tallin.
In
quell’occasione, il primo ministro estone ha dichiarato:
«L’Intelligenza Artificiale è già qui. Dobbiamo imparare ad
usarla per migliorare le nostre vite.44»
L’Estonia era già famosa da tempo per essere il paese
europeo con più tecnologia digitale, connessione Internet
velocissima, gratuita e ovunque disponibile, pochissima

 

124
Giancarlo Orsini
burocrazia ecc. Per alcuni, è il paese più digitalizzato al
mondo45.
Ora
l’Estonia
punta
ad
accelerare
lo
sviluppo
dell’Intelligenza Artificiale, sia nel settore pubblico
che in quello privato, perché riconosce all’A.I. un ruolo
strategico e imprescindibile nella creazione di valore, e
quindi di benessere sociale. Il progetto, presentato nel
maggio 2019, si chiama Kratt, come una creatura della
mitologia estone, la “portatrice di tesori”, che obbedisce
ciecamente al padrone (visione quanto mai corretta e
illuminante dell’Intelligenza Artificiale, al di là di ogni
fanatismo o catastrofismo)46.
L’orizzonte di sviluppo del progetto Kratt – e i modelli
di business associati – sarà definito principalmente
dall’integrazione tra machine learning, natural language
processing e chat bots. E dall’integrazione tra pubblico e
privato. Allora, le digital valleys e i digital states sono e
saranno le piattaforme di sviluppo per i cittadini del…
… Nuovo Mondo.
Un tempo facevamo i calcoli a mano. Letteralmente,
utilizzando le dita delle mani.
Poi abbiamo visto che più di un certo numero di operazioni
così non riuscivamo a farle, e abbiamo allora chiesto aiuto
ai bastoncini e alle mandrie.
Poi, quando le mani, i bastoncini e le mandrie non ci
bastavano più abbiamo inventato i numeri. E abbiamo
cominciato ad appassionarci ai processi di calcolo.
Il desiderio di approfondire ci ha portato a inventare
abachi e pallottolieri, e quel che all’inizio era forse un
qualcosa di semplice e banale è diventato matematica.
Una scienza specifica.
Abbiamo inventato teoremi, problemi, altri numeri, calcoli

 

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infinitesimali e integrali, derivate, primitive… e facevamo
ancora tutto a mano, o a mente.
Poi è arrivata la calcolatrice.
E poi il calcolatore elettronico, ovvero il computer.
Ecco. Oggi nessuno si sentirebbe più di fare nemmeno
un semplicissimo logaritmo a mano. Se parlate con un
matematico, ve lo confermerà: la matematica non sta nel
non-sbagliare i calcoli. Per quelli, ci sono le calcolatrici e
i computer.
La matematica è nel ragionamento. Nella bellezza
dell’immaginare scenari anche impossibili.
Che cosa hanno fatto le tecnologie in questo caso? Ci
hanno alleggerito del lavoro bruto, della fatica e della
noia del calcolo, e ci hanno liberato la mente, che può
concentrarsi sul problema da risolvere. O da inventare.
Bene. Questo per quanto riguarda una materia “scientifica”,
come la matematica.
Ma se vi dicessi che possiamo pensare negli stessi termini
anche al suo corrispettivo “umanistico” per eccellenza
(per usare una distinzione un po’ desueta, ma che rende
bene l’idea)?
… La scrittura.
Si pensa banalmente che la scrittura sia qualcosa
legato al genio, all’ispirazione poetica, a un certo estro
indeterminabile e inafferrabile che lo scrittore deve per
forza avere.
Più semplicemente, si dà per scontato che le “materie
umanistiche” non siano così… come dire… oggettive
come le “scientifiche”, perché se in matematica 2+2 fa
sempre 4, invece (volendo, p.e., scrivere un romanzo)
uomo+donna non fa sempre love.
Eppure, il mondo della scrittura è già cambiato e cambierà

 

126
Giancarlo Orsini
sempre di più, quasi nello stesso modo in cui sono
cambiate la matematica e le modalità (o necessità) di fare
i calcoli.
Già esistono software in grado di far da correttori di bozze
e di ortografia, oppure traduttori intelligenti che – nello
svolgere la loro funzione – non hanno nulla da invidiare a
un madrelingua in carne ed ossa.
Software di questo tipo (uno di questi pubblicizzato
con il motto: “everyone can be a great writer”) sono in
grado di suggerire una più corretta articolazione della
frase, di segnalare un avverbio di troppo, di “capire” se
un’espressione è troppo retorica o pomposa.
Un’Intelligenza Artificiale di questo tipo funziona da
editor, senza ancora “sostituire” l’autore del testo.
Ma ora, grazie al machine deep learning, esistono software
di augmented writing in grado di scrivere “da soli” paragrafi
di senso compiuto.
E allora?
È finito il tempo degli scrittori? Nient’affatto. Si tratta
soltanto di rivedere quali sono le caratteristiche che
rendono tale uno scrittore. Ebbene, sembra che la
“scrittura”, proprio lei!, non sia tra queste. Sembra un
paradosso, ma è così.
Intendo “scrittura” come organizzazione di concetti
all’interno di un sistema definito di regole, sia linguistiche
che comunicative. Lo stendere le frasi, insomma.
Il writer del futuro dovrà allora abbandonare soltanto un
certo tipo di attività, e concentrarsi sul vero succo della
questione.
In parte, diventerà un programmatore, ovvero inserirà
nel sistema degli input, dei campi d’informazione da
esplorare, una serie di obiettivi da raggiungere, il target di
riferimento e via dicendo, e lascerà quindi al bot l’arduo

 

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compito di organizzare tutto questo in un discorso efficace.
Che cosa gli resterà? La fantastica facoltà del ragionare,
immaginare, sognare. Continuerà a “scrivere”, ma senza
dover “faticare” nello svolgere frasi e periodi corretti
ed efficaci, senza dover “lottare” con (o contro) le
regole grammaticali, senza dover “vigilare” sugli errori
d’ortografia e di sintassi.
Scrivere è un po’ come calcolare.
Entrambe le discipline rispondono a delle leggi che le
macchine intelligenti possono imparare a riprodurre.
Entrambe le discipline hanno una forte componente
creativa che l’utilizzo delle macchine intelligenti contri-
buirà a far crescere e potenziare, fino alla conquista di…
… Nuove dimensioni.
La stampa 3D che tanto clamore ha suscitato al suo
apparire – specialmente negli ultimi anni, da quando
è diventata una tecnologia accessibile anche per una
piccola o media impresa – sta per essere “sorpassata” da
un nuovo tipo di stampa, a quattro e addirittura a cinque
dimensioni.
Che significa?
La stampa in 4D considera il fattore tempo come
dimensione aggiunta.
Ma non solo. Stampando oggetti non più di plastica o di
metallo, ma in materiale organico, si prevede che essi
possano reagire agli stimoli esterni, e siano quindi oggetti
“sensibili” e flessibili.
Si parla così di materiali smart che si autorigenerano, di
oggetti che si auto-assemblano; sono materiali intelligenti,
in grado di adattarsi e trasformarsi a seconda degli input
che ricevono47.
Uno dei campi di applicazione privilegiati per questo tipo di

 

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Giancarlo Orsini
tecnologia sarà senz’altro la biomedicina, interessandomi
alla quale nel 2016 ho fondato la onlus Open Biomedical48.
Si parla già, per esempio, di stampare tessuti muscolari
che reagiscono a contatto con il sangue.
Così, come l’attenzione crescente verso tutto ciò che ci
circonda e che riguarda, a questo punto, non soltanto noi,
in quanto esseri umani, ma anche…
… il destino delle altre specie.
E del pianeta Terra.
Ecco una diversa versione del concetto di squadra, che
siamo abituati a veder declinato nei settori dell’impresa,
dello sport e simili. Sul pianeta non siamo soli. La vita sulla
Terra è un vero e proprio lavoro di squadra che ha bisogno
di tutti i giocatori.
È famoso il detto: se una farfalla batte le ali a New York
scoppia un temporale a Pechino.
È il concetto di biosfera, nel quale tutti gli attori: animali,
vegetali, minerali, atmosferici, chimici e fisici sono
collegati e interdipendenti.
La scomparsa delle api, per esempio, causerebbe rovesci
catastrofici non solo per i settori produttivi ed economici
basati sull’agricoltura e sulle coltivazioni, ma porterebbe,
di riflesso, all’estinzione della vita sul pianeta49.
Le moderne tecnologie, e la conoscenza che possiamo
raggiungere grazie a queste, ci consentono oggi di
occuparci del benessere e della sopravvivenza non solo
nostri, ma anche di tutti gli altri esseri viventi che sono qui
con noi. Di vivere insieme a loro, e di lasciar loro lo spazio
necessario. D’instaurare un circolo virtuoso naturale che
troppe volte abbiamo trascurato e messo in pericolo.
Anche qui, è l’uomo che deve e che può guidare le macchine
intelligenti, e consentire così alle stesse tecnologie di

 

129
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
“fare squadra” e di “collaborare”, al fine di monitorare
l’evoluzione degli eventi, i cambiamenti in corso e quelli
futuri, analizzare i dati, elaborare soluzioni, proiettare in
avanti uno scenario che assomigli – per quanto possibile
– non più né all’inferno né al purgatorio, ma al paradiso
stesso.

 



IO CREDO NELLE ABILITÀ
PERSONALI. CREDO NELLA
CAPACITÀ DI GUARDARE
OLTRE CON DETERMINAZIONE
E CORAGGIO. E QUINDI NELLE
RISORSE CHE CI CONSENTONO
DI GUARDARE IN AVANTI
Giancarlo Orsini

 

131
Graziano Giordani inizia a lavorare presto. Negli anni Settanta fa il
cameriere, vende prodotti alimentari, e poi lavora per una ditta che
ripara macchine da cucire per la Necchi. Quando nel 1987 dà vita alla
prima delle sue aziende, il Ricamifi cio Romandini, Graziano Giordani
non ha ancora compiuto 30 anni.
Nel 1996 Giordani inizia il suo percorso di trasformazione sia
produttivo che societario. Nella produzione percepisce che il mercato
sta cambiando: non basta più puntare sulla quantità, ma è necessario
rispondere ai bisogni dei suoi clienti che ora chiedono qualità. Sotto il
profi lo societario invece diventa una società di “famiglia”, si accrecse
dapprima con l’ingresso della consorte Accorsi Silvana e nel 2011 con
quello dei fi gli Adriano e Antonio. Nasce così Graziano Ricami, fi glia di
un uomo protagonista del suo tempo, capace di ascoltare le persone,
di capirne i bisogni, e di soddisfarli con l’eccellenza che da secoli rende
grande il nostro paese.
IMPRENDITORE
IMPRENDITORE
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GRAZIANO RICAMI
ANTONIO – GRAZIANO – ADRIANO GIORDANI

 

 

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11.
LIBERTÀ
SIAMO QUELLO CHE CONSUMIAMO – SIAMO
QUELLO CHE FACCIAMO – CONSUMO PASSIVO
E LIBERTÀ DI SCELTA – PRODOTTI E SERVIZI
Una percentuale piuttosto alta di chi sta leggendo queste
parole (così alta che fino a qualche anno fa sarebbe stata
considerata impossibile) lo sta facendo da un dispositivo
elettronico. Il numero esatto dipende dall’anno in cui le
starete leggendo. Più lontano sarà dal 2020 – l’anno della
prima edizione – più sarà probabilmente alto.
Ma se il fatto che i dispositivi con un cervello digitale
abbiano preso il sopravvento sui loro corrispettivi
analogici (il testo scritto, su tutti) è un fatto che diamo
per assodato, quello su cui vale la pena soffermarci è un
particolare aspetto della questione che abbiamo perso di
vista (proprio grazie alla diffusione ormai così capillare dei
device tecnologici).
Il dispositivo che tenete tra le mani è un
capolavoro unico nella storia umana di
pensiero, ricerca, ingegneria e logistica.
È stato creato da un’altra parte del mondo, da una catena
di persone provenienti ognuna da un continente diverso,
che parlano lingue diverse, con fusi orari diversi, religioni
diverse, regimi politici diversi, e in condizioni molto diverse
tra loro: dal più alto dei grattacieli alla più profonda delle
miniere, migliaia di esseri umani hanno partecipato al

 

134
Giancarlo Orsini
lungo processo che ha portato il dispositivo che teniamo
tra le mani a essere così com’è (e ad arrivare lì dov’è).
Ma, ancora più sconvolgente, è il fatto che per realizzare le
materie prime che compongono il dispositivo che teniamo
tra i pollici, la natura ha impiegato millenni, e l’universo
eoni.
Per alcuni, come il petrolio da cui deriva la plastica
(più tutto quello che è servito per supportare la filiera
produttiva sotto forma di carburante per navi, aerei, tir) ci
sono volute intere ere geologiche.
Altri, come il litio di cui sono fatte le batterie (almeno per
il momento) sono lì dal Big Bang, ancora prima – non solo
prima che la vita sulla terra si formasse – ma che la terra
stessa esistesse.
Il Piombo, il Cadmio, l’Oro, l’Argento, provengono
probabilmente dal Nord America; il Nichel e il Palladio
dalla Russia; l’Alluminio, lo Stagno, e il Rame dal Sud
America;  il Tantalio dall’Australia; il Cromo e il Platino
dall’Africa; e così via.
È uno sforzo globale.
Eppure, nonostante questo lavoro enorme, tutta questa
meraviglia ce la ritroviamo tra le mani in cambio di qualche
centinaio di euro in offerta su Amazon, o forse anche
meno, se comprato usato su eBay. E tutto questo solo per
finire in un soggiorno a leggere queste parole, o a mettere
in fila caramelle colorate.
Com’è possibile?
Ancora più sconvolgente, basti pensare che la sola
potenza di calcolo contenuta in uno qualsiasi di questi
dispositivi è di parecchie volte superiore a quella che è
stata necessaria per fare atterrare l’uomo sulla Luna, e
ritorno.
E non basta.

 

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Nonostante questo dispositivo sia stato creato per
resistere al sale dell’oceano e alla sabbia del deserto,
nonostante in memoria possa contenere più libri di tutti
quelli contenuti dalla British Library, probabilmente l’anno
prossimo finirà in un cassetto.
Tra cinque sarà in discarica. E non perché non ci sia più
davvero spazio o la batteria duri qualche ora in meno di
quello che ci serve per accompagnarci durante la giornata.
Ma perché, nella maggior parte dei casi, non ci basta. Mai.
Ne vogliamo ancora. Più memoria.
Più schermo. Più potenza.
Più velocità di connessione.
Da qualche parte troveremo l’annuncio di uno stesso
identico device con lo stesso identico sistema operativo,
solo un pelino più potente, e che ci permetterà di fare le
stesse identiche cose che facciamo (o che non facciamo)
oggi.
Tra pochi mesi uscirà il modello successivo a quello che
abbiamo tra le mani noi, e allora faremo la fila per averlo,
spenderemo soldi (che in qualche caso non possediamo
nemmeno, e dunque dobbiamo prendere in prestito
attraverso le modalità di finanziamento più creative), per
poi utilizzarlo per compiere le stesse identiche operazioni
che compivamo con quello procedente.
Non è tutto rose e fiori.
La produzione di tutti questi materiali, a livelli diversi,
prevede sfruttamenti insostenibili di uomini, donne,
risorse, ambiente. Ne stiamo già pagando le conseguenze,
solo che le conseguenze, almeno per ora, sono da qualche
altra parte del mondo che non sia il ricco Occidente.
È un mondo senza elettronica quello che vogliamo, allora?

 

136
Giancarlo Orsini
La risposta, come sempre in questi casi, è complessa.
In una lettera pubblicata nel 2019 sui giornali di tutto il
mondo, 180 dei più importanti CEO degli Stati Uniti, da Jeff
Bezos di Amazon a Tim Cook di Apple, hanno annunciato
che c’è bisogno di un cambiamento di direzione.
Queste giganteschi agglomerati di capitale e potere – in
alcuni casi molto più ricchi e influenti di intere nazioni
(e persino di qualche continente) – hanno promesso che
“non perseguiranno più soltanto l’interesse dei manager e
degli azionisti (cioè loro stessi), ma terranno conto anche
del benessere di dipendenti, clienti e della società più in
generale”.
“Esiste infatti una connessione diretta tra la ricchezza e
l’aumento delle diseguaglianze economiche, che ha come
effetti collaterali dalla crisi ambientale all’instabilità
sociale e dunque politica”.
Per farla breve, il capitalismo più sfrenato, quello che ci ha
concesso di avere due telefonini all’anno, una macchina
ogni tre, e l’intera casa connessa a internet, è anche
quello che ha portato l’umanità sull’orlo del collasso. Se
non addirittura dell’estinzione.
Secondo Martin Wolf – uno dei più influenti commentatori
economici al mondo – sembra che «l’attuale sistema
economico da tempo abbia cessato di produrre risultati
desiderabili per milioni di persone. Negli Stati Uniti, per
esempio, il reddito delle famiglie è cresciuto a malapena
nel corso degli ultimi 40 anni e i giovani non possono più
sperare di avere una vita più agiata dei genitori: quasi
un terzo di loro ha visto anzi le proprie condizioni di vita
peggiorare. In Italia, dove la crisi economica è stata anche
più lunga e profonda, il reddito disponibile per le famiglie
è addirittura tornato indietro».
A giudicare da queste analisi, il danno è duplice: da un

 

137
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lato siamo vittime di un sistema che sfrutta il lavoro
e l’ambiente, dall’altra siamo noi stessi a finanziare
questo sistema, con i soldi che abbiamo e con quelli
che non abbiamo.
Ma puntare il dito, come al solito, non serve a niente, anche
considerato il fatto che non basta dire che le macchine
inquinano e smettere di produrle, se poi la chiusura di un
solo stabilimento significa mandare senza lavoro decine di
migliaia di persone e dunque allo sfascio intere comunità.
Le persone consumano.
Consumare è il nostro modo di stare al mondo: il nostro
intero sistema di valori si basa su questo.
Le spiegazioni, evoluzionistiche, biologiche e sociologiche,
si sprecano, ma possiamo riassumerle semplicemente
con un: le persone cercano la ricchezza e dunque il
consumo perché attraverso di essi esercitano una capacità
maggiore di controllo sulle proprie vite, riuscendo ad
accedere a livelli di realtà che il solo perseguimento della
sopravvivenza, come facevano i nostri progenitori, non
rende possibili.
Siamo quello che consumiamo.
Siamo le cose che possiamo permetterci. Al di sopra della
soglia che ci consente di soddisfare le esigenze minime
per restare al mondo e procreare, chi cerca ricchezza non
sta cercando (solo) ostriche, champagne e jet di lusso, ma
sta cercando soprattutto “l’esperienza della ricchezza”,
cioè la capacità di poter avere accesso a modi di essere e
vivere da indossare e smettere ogni volta che vuole.
Siamo le cose che facciamo.
Questo vuol dire che le nuove cose che facciamo sono
nuove cose che siamo; sono nuove identità che alimentano
quel ventaglio di opportunità che iniziamo a creare dal
primo giorno in cui veniamo al mondo fino all’ultimo.

 

138
Giancarlo Orsini
Senza tirare in ballo spiegazioni psicologiche troppo
frettolose, il risultato è che ogni prodotto che possiedo
è una “vita nuova” che posso essere, e con cui posso
mostrarmi al mondo, aumentando le possibilità che
ho di essere apprezzato da qualcuno, e dunque scelto.
Sono considerazioni che facciamo di sfuggita, nel nostro
subconscio, e che hanno a che fare con l’evoluzione della
nostra specie: essere ricchi è il modo migliore per essere
considerati in un certo modo, e trattati di conseguenza.
Ma accedere a qualcosa non è abbastanza, perché
la maledizione più grande degli
esseri umani è quella di abituarsi,
sempre, a tutto, ma proprio a tutto.
È la natura del nostro cervello, è come siamo cablati:
sempre gli stessi stimoli ci danno sempre meno sensazioni,
fino a che l’assuefazione non arriva, rendendo inutile
anche la più veloce delle auto o il più dorato dei palazzi.
Ecco perché allora ci troviamo nel mondo che abitiamo,
perché tutti cerchiamo sempre nuove esperienze, sempre
più ricche, e perché abbiamo scoperto come realizzarle
per molti ma non tutti, e quei pochi che restano fuori sono
quelli che pagano le conseguenze per tutti.
Per farlo, abbiamo dovuto inondare il pianeta di plastica e
affogarlo di anidride carbonica, e stiamo per rendere vani i
frutti del benessere che avevamo iniziato a costruire come
specie.
Non c’è davvero più speranza?
A mio modo di vedere, sì che c’è.
C’è eccome.
Per una serie di motivi. Il principale dei quali è il fatto che
il malessere ambientale ci porterà – che lo vogliamo o no

 

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– a confrontarci con il fatto che le risorse che abbiamo
a disposizione sono finite e che quindi (prima o poi, a
seconda dei modelli di previsione che uno prende come
riferimento) dovremo fare i conti con le nostre priorità
e con il fatto che il cambiamento non arriverà perché lo
vogliamo, ma perché dobbiamo.
Da una parte è rincuorante non dovere avere fiducia
nelle capacità umane di diventare migliori. Dobbiamo
solo aspettare di arrivare a un bivio in cui da una parte ci
sarà un baratro in cui nessuno, ma proprio nessuno, vorrà
finirci dentro.
La ristrutturazione delle priorità ci porterà in un mondo
con sempre meno prodotti (lo viviamo già: avete mai
pensato a quanti oggetti fisici diversi ci sono dentro un
telefonino?
La risposta è: un intero ufficio degli anni ‘90!) e sempre
più servizi, con impatti sempre più leggeri sull’ambiente.
La digitalizzazione è un cambiamento che molti di noi
hanno vissuto sulla propria pelle negli ultimi 20 anni:
concentrarsi sui servizi significa che il possesso delle cose
avrà sempre meno senso. Oggi, a livelli di realtà che prima
erano inaccessibili, ci posso accedere comodamente con
una piccola spesa mensile.
La macchina? Negli anni ‘60 se la poteva permettere solo
chi aveva uno stipendio fisso, e per molti anni. Oggi mi
basta far parte di un car sharing da pochi euro al mese,
e posso avere una macchina quando voglio, e come
la voglio, senza nemmeno dovermi preoccupare della
manutenzione.
La spesa? Me la consegnano. La bici? Si fitta. Il taxi?
È un’App. I vestiti? Arrivano scelti casualmente da un
algoritmo ogni mese. Il ristorante? Mi consegnano a casa
la cena. La musica? Ho in tasca quasi tutta quella prodotta

 

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Giancarlo Orsini
negli ultimi cinque secoli.
Il lavoro da remoto, l’ufficio è in coworking, la TV è on
demand, i biglietti per il trasporto sono in abbonamento
flat, il cinema pure, il mercato immobiliare è fluido.
Tutto, o quasi, sta diventando subscription, abbonamento.
Se prima dovevo lavorare per almeno un decennio
per potermi permettere tutte queste cose, oggi posso
sperimentarne ognuna quando mi è comodo, scegliendo
in un dato momento alcune opzioni di vita e tralasciandone
semplicemente altre.
Basta rimodulare le mie priorità: questo mese sarò un
ascoltatore di musica, quello dopo un lettore accanito
con tutti i libri del mondo a disposizione, quello prossimo
faccio binge watching di una serie al giorno.
Inizieranno a farci sempre meno gola gli aggiornamenti di
prodotto (e il loro impatto sull’ecosistema) perché quello
che vorremo davvero saranno aggiornamenti di servizio:
possiamo essere liberi di essere solo quando saremo
liberi di volere, e dunque di scegliere.
La libertà di scelta diventa dunque la libertà di poter
essere quello che si vuole, senza i limiti geografici o sociali
dati dall’essere venuti al mondo proprio qui, proprio ora.

 



LA LIBERTÀ DI SCELTA DIVENTA
LA LIBERTÀ DI POTER ESSERE
QUELLO CHE SI VUOLE, SENZA I
LIMITI GEOGRAFICI O SOCIALI DATI
DALL’ESSERE VENUTI AL MONDO
PROPRIO QUI, PROPRIO ORA
Giancarlo Orsini

 

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Giancarlo Orsini
SIMONE RUSSO
Simone diplomato in Francia e laureato all’università Bocconi in
Economia e Marketing, ha vissuto in Svizzera e lavorato in Australia,
esperienze che ne hanno forgiato una competenza internazionale. Nel
2015 è stato premiato da Wired fra gli imprenditori più promettenti
d’Italia under 35, mentre Forbes nel 2019 l’ha inserito nella Top 100
dei giovani leader del futuro e nella Top 3 della Consumer Technology.
Nel 2015 ha fondato Immodrone, la prima rete di piloti di droni in
Italia, che dispongono di sofi sticati sistemi di Intelligenza Artifi ciale
per gestire i dati, classifi carli, certifi carli ed elaborarli, e unendo in
un’unica community oltre 1500 dronisti su tutto il territorio nazionale.
Simone è anche socio e co-fondatore insieme a Marco Rimondi di
Inspectiondrone, una Startup specializzata in ispezioni tecniche di
immobili, grandi infrastrutture e impianti di energie rinnovabili.
immodrone.it
MARKETING INNOVATOR
MARKETING INNOVATOR
STARTUPPER
STARTUPPER

 

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12.
ISPIRAZIONE
OMOLOGAZIONE – NUOVI “GURU” –
PATOLOGIE DA ALIENAZIONE – DIPENDENZE
PSICOLOGICHE – MASSA E POTERE
La società di oggi sembra essere fortemente concentrata
sul protagonismo e l’approvazione di sé agli occhi del
mondo. Parole come “Successo”, “Benessere”, “Skill
personali”, “Reinventare sé stessi” ci vengono ripetute
continuamente, portandoci a vivere uno status di perpetua
ansia da prestazione per dimostrare di essere vincenti
nella vita come nel lavoro.
I social ci richiedono di mostrare sempre il lato migliore
di noi, ci chiedono di sorridere, di farci vedere felici anche
quando non lo siamo, e il continuo confronto con i nostri
contatti innesca la necessità di non essere da meno, senza
però sapere come farlo.
Il desiderio di omologazione, di emulazione e di non
essere da meno, genera quindi una pressione continua
sulla vita di tutti i giorni, provocando un’angoscia o un
senso di inadeguatezza che cerchiamo di compensare
con soluzioni facili, dal riscontro immediato: ricevere
approvazione tramite il numero di “like” sui social, oppure
ottenere denaro in fretta e senza eccessivo impegno,
esibire ricchezza acquistando beni di valore identificati
come status symbol, ma cercando di pagarli il meno
possibile…
Essere da meno significa essere fuori dalla moda, dallo
standard, da quello che viene considerato “la norma” dai

 

144
Giancarlo Orsini
nostri “pari”, dal gruppo nel quale proviamo a identificarci.
Senza renderci conto di avere una percezione distorta, ci
sforziamo di allinearci  a quello che vediamo come uno
standard, e di confrontarci con persone e personaggi che
di fatto sono molto lontani da noi.
Ostentare una vita apparentemente agiata, però, non
basta a compensare la volontà di viverla veramente. Il
successo si trasforma quindi in una droga per il pubblico,
una ossessione per il sogno che chiunque possa farcela,
partendo da zero e arrivando in cima semplicemente
trovando l’idea giusta al momento giusto o inventando un
nuovo modo di lavorare e guadagnare a cui nessuno era
arrivato prima.
Chi è riuscito nell’impresa viene trasformato in un guru
per le masse, spesso involontariamente o indirettamente:
i “followers” seguono devotamente le Stories, i Tweet e
gli aggiornamenti di status, accettano acriticamente il
pensiero dell’Idolo, condividono foto, frasi e opinioni su
qualunque cosa l’Idolo dica o faccia, alimentandone un
“culto della persona” a livelli che sfiorano la dipendenza
psicologica, come se solo nell’imitazione si potesse
ottenere lo stesso grado di approvazione e gratificazione
personale. I falsi Guru fanno leva sulle tantissime persone
insoddisfatte della vita, depresse, annoiate, sempre alla
ricerca di qualcosa che gli stravolga la vita in meglio e che
le faccia sentire libere e complete.
Riescono a coinvolgere gli altri, accendendo quel desiderio
di illuminazione o semplicemente di pace, serenità e
benessere, creando al contempo dei “seguaci” che non
si perderanno un loro post sui social o una loro “perla di
saggezza”.
Avere una dipendenza da una persona crea vulnerabilità:
ci porta a delegare le nostre decisioni, scelte e gusti

 

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personali a ciò che l’altro deciderà per noi.
Lasciamo che siano i “Tweet” a condurre la nostra vita, a
consigliarci e a scegliere al posto nostro.
Abbiamo bisogno di sentirci
parte di una comunità e vicini al
pensiero di qualcun altro.
Aspettiamo che quel qualcuno ci dica – o almeno ci
suggerisca – come comportarci, vestirci, parlare. Che quel
qualcuno ci dica quale serie TV guardare, quale escludere.
Che ci aiuti a capire cosa fare da grandi, come dare una
svolta alla nostra vita, come trovare lavoro o realizzare un
progetto.
Molti arrivano ai miei convegni sperando di trovare questo
tipo di risposte. Giovani e meno giovani sono venuti da me
pensando di trovare un guru da seguire, ma io non sono
mai stato un guru.
Non parlo in pubblico per rivelare
la mia verità: parlo in pubblico
per ispirare, macino chilometri su
chilometri ogni settimana per quello.
Racconto storie capaci di accendere
una luce in chi ha voglia di vederla.
Ogni volta che qualcuno viene da me e mi dice di essere
stato ispirato a trovare la sua strada, allora festeggio.
Eccola, la più grande delle mie vittorie, quella che mi dà più
soddisfazione. Aiutare qualcuno a individuare la propria
inclinazione significa aver aiutato davvero una persona

 

146
Giancarlo Orsini
a capire sé stessa, a trovare il coraggio di affrontare la
vita con le proprie capacità, accettando il rischio della
responsabilità delle proprie scelte individuali.
Parlando di responsabilità, decidere da soli è più difficile
che farlo fare a qualcun altro.
Molto più difficile. Seguire qualcuno è più facile perché
se la decisione del capo – o del Guru – si rivela sbagliata,
non ci tocca da vicino. Viceversa, se siamo noi a scegliere,
dobbiamo metterci in gioco, dobbiamo metterci la faccia
e la schiena, e il rischio cresce. “Oneri e onori” vanno a
braccetto: se va male, sappiamo che ci toccherà la colpa
(ed è un pensiero che fa paura a tutti), ma se va bene, a
noi e solo a noi andrà il merito. Se come diceva Kafka, il
progresso non è altro che brancolare da un errore all’altro
(rif. cap. 4), ecco che per riuscirci abbiamo bisogno di
prenderci la responsabilità dei nostri pensieri, delle nostre
convinzioni.
Abbiamo bisogno – come umanità – di
credere nei nostri sogni. Nei nostri,
prima che in quelli di qualcun altro.
Può sembrare più facile a dirsi che a farsi, perché tutti
nella vita cercano un punto di riferimento, un Maestro
che gli indichi almeno la strada da imboccare o gli
insegni come farlo dall’alto delle sue conoscenze. Il
difficile è riconoscere un vero Mentore e distinguerlo
da un falso Guru: un Maestro non vuole imporre le sue
convinzioni all’allievo, solo tramandare le sue esperienze
e competenze; non cerca seguaci e non vuole creare
copie di sé stesso, bensì fornire gli strumenti giusti per
apprendere ciò che conosce. I falsi Guru invece hanno
la presunzione di indottrinare i propri fan, di inculcargli

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
idee e, letteralmente, ordinargli cosa devono fare e come
farlo. Mascherano da consigli quelli che sono dei veri
indottrinamenti, rendendo il numero dei followers solo un
appagamento personale del Guru stesso.
Come ci si può difendere da questi “predicatori del nulla”?
Bisogna prestare molta attenzione a tutto ciò che si
ascolta e si legge in giro, confrontarsi, attingere a più fonti
e, soprattutto, non fidarsi ciecamente della persona che
si segue.
I Guru e gli Influencer devono rimanere dei dispensatori
di consigli, persone tali e quali a noi con cui possiamo
confrontarci, non esseri superiori con la verità in tasca da
cui farci insegnare ogni cosa o a cui dare la colpa se non
otteniamo ciò che vogliamo.
Perché, come diceva Dumas, “in generale, si chiedono
consigli solo per non seguirli o, se si seguono, per avere
qualcuno da rimproverare per averli dati”.
Io non voglio dire alla gente cosa deve pensare o come
dovrebbe agire, io voglio che chi mi ascolta prenda
fiducia nelle proprie capacità e trovi il coraggio di
viverle.
Tutti abbiamo i nostri sogni, desideri,  e obiettivi ma
possiamo raggiungerli solo con la nostra energia, le nostre
emozioni, la nostra sensibilità personale e tutte quelle
caratteristiche che ci rendono unici.
Ci omologhiamo perché essere sé stessi costa fatica e
ci espone al giudizio. Ecco perché a volte preferiamo
rinchiuderci dentro uno standard creato da qualcun altro:
perché essere uguali annulla la paura di essere diversi – e
quindi “sbagliati” – rispetto al mondo che ci circonda.
Contemporaneamente, l’omologazione può generare
senso di frustrazione in chi non riesce ad adattarsi sul
serio, fino in fondo. E fa anche altro: omologarci ci porta

 

148
Giancarlo Orsini
a perdere la nostra unicità come esseri umani e quindi
ad assomigliare a quei robot che tanto ci spaventano.
Ogni volta che cerchiamo un modello da seguire e
replicare, ogni volta che lasciamo che sia qualcun altro a
decidere per noi, o ci facciamo bloccare da un ostacolo, il
genere umano fa un passo indietro nel suo cammino verso
il progresso e noi ne facciamo dieci.
Non solo non progrediamo, ma arretriamo. Nel fermarci,
torniamo indietro. Se l’idea che non abbiamo portato
avanti, potesse fare del bene a noi? E se nel tornare
indietro noi, stessimo impedendo all’intero genere umano
di andare avanti? E se l’idea che non abbiamo difeso
fosse in grado di migliorare la vita di qualcun altro? E se il
progetto che abbiamo abbandonato potesse aiutare altre
persone a stare meglio?
Impegnarsi con caparbietà per seguire la propria indole
è uno “sforzo” che può ripagare, perché è proprio dalla
passione che nascono le migliori idee!
Quante volte sentiamo parlare di giovani che diventano
“imprenditori di sé stessi”? Leggiamo di start-up nate dal
nulla e arrivate in breve tempo a fatturare cifre stellari.
Le principali aziende di oggi non esistevano trent’anni fa.
Sono state tutte costruite da ragazzi che avevano meno
di trent’anni. Nessuno di loro era figlio di papà.  Erano
persone normali che però sono riuscite a creare un impero.
I fondatori di questi colossi erano e sono dei geni? Hanno
un intuito o un intelletto superiore?
O sono semplicemente sognatori che non hanno rinnegato
la propria indole e hanno seguito le loro passioni?
È vero, le passioni non sono tutte uguali: alcune possono
aprire la strada verso il successo, inventare nuovi mestieri,
garantire un futuro di ricchezza e benessere… altre
possono semplicemente renderci felici.

 

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Il diritto alla felicità è presente addirittura nella
Costituzione Americana (sarà un caso che 95 delle grandi
aziende del mondo di oggi vengano da là?) perché il denaro
o il successo non valgono nulla se ciò che facciamo per
ottenerli non ci rende felici come persone nella nostra vita
quotidiana.
Coltivare la propria passione, condividerla e divulgarla non
può che avere conseguenze positive su di noi: ci permette
di conoscere altre persone, viaggiare, scoprire nuovi punti
di vista; ci fa venire fame di conoscenza, di novità, di nuovi
spunti per la nostra vita o il nostro lavoro.
Non tutte le passioni possono diventare mestieri. Non
tutte possono trasformarsi in imperi – e non è detto che
debbano farlo – ma ognuna di esse ci rende più ricchi.
La sfida che dobbiamo affrontare oggi è preparare il terreno
di domani. È costruire un ambiente che faciliti la crescita
delle buone idee e la loro diffusione, che abbatta i muri,
e che dimuisca gli ostacoli (economici, fisici, burocratici).

 



DREAM BY DAY. ALWAYS DREAM BY DAY. NEVER
STOP DREAMING BY DAY, EVEN WHEN THEY WILL
THINK THAT YOU ARE NAIF, AND WHEN THEY WILL
THINK THAT YOU ARE UNREALISTIC, AND WHEN
THEY WILL LAUGH AT YOU, AND WHEN THEY WILL
LAUGH AT YOUR IDEAS TOO. AND THEY WILL, MOST
OF THE TIMES. BECAUSE THEY WON’T SEE WHAT
YOU SEE. YOU SEE THINGS THAT THEY CAN’T EVEN
IMAGINE, BECAUSE OF YOUR ABILITY TO DREAM.
AND IF YOU ARE ALSO ABLE TO PLAN ON THOSE
DREAMS, TO EXECUTE ON THOSE DREAMS, AND
TO BATTLE FOR THOSE DREAMS, WITH LOVE AND
RESILIENCE, THEN THOSE DREAMS WILL MAKE
THE DIFFERENCE. IT MAY BE A BIG DIFFERENCE,
OR A SMALL ONE, BUT THEY WILL DO MAKE A
DIFFERENCE.
SOONER OR LATER THEY WILL
Mauro Porcini”

 

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Enrico Grassi è il fondatore di Elettric80, azienda che nel 1990 è stata
tra le prime al mondo ad implementare sistemi automatici a guida laser
(LGV) e ad anticipare, nel 1992, il concetto di Industry 4.0. In qualità
di Presidente, Grassi ha inoltre partecipato al lancio di BEMA, azienda
nata per sviluppare sistemi robotizzati sinergici con quelli di Elettric80.
Oggi il suo Gruppo realizza a livello internazionale soluzioni logistiche
all’avanguardia integrate, intelligenti e sostenibili per le imprese
produttrici di beni di largo consumo.
Gabriele Grassi, 38 anni, è Global Communication Supervisor delle
aziende Elettric80 e BEMA, fondatore e presidente di Neway, società
di comunicazione digitale avanzata. Si occupa principalmente dello
sviluppo di nuove strategie di comunicazione B2B, della ricerca e
sviluppo di software legati al mondo del multimedia, realtà virtuale,
realtà aumentata e dello studio della comunicazione volta alla vendita
e alla negoziazione.
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ENRICO E GABRIELE GRASSI
elettric80.com
FONDATORE ELETTRIC80
FONDATORE ELETTRIC80
GLOBAL COMMUNICATION
GLOBAL COMMUNICATION
SUPERVISOR
SUPERVISOR

 

 

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13.
FORMAZIONE
STUDIARE OGGI PER PREPARARCI ALLE
COMPETENZE CHE SERVIRANNO DOMANI
– DATA DETECTIVE, QUANTUM MACHINE
LEARNING ANALYST, WALKER E TALKER – THE
FUTURE OF SKILLS
Se il futuro non esiste ancora, così come ho già scritto, non
esistono nemmeno le competenze specifiche del domani.
Giusto, no? E allora?
E allora, se vogliamo parlare davvero di Formazione,
ovvero di un complesso vivo di azioni e reazioni, di stimoli
e pensieri, mirato allo sviluppo personale, per una vita
piena e soddisfacente, dobbiamo capire che la sostanza
di questo percorso, d’apprendimento e d’adattamento, è
tutta in due parole: imparare a star pronti.
Non è la prima volta, lo confesso, che ragionando di futuro
e d’innovazione mi ritrovo di fronte a un paradosso.
In questo caso si tratta, infatti, di prepararsi per i lavori del
futuro senza però poter sapere in anticipo, e con certezza,
quali saranno. Resta comunque il fatto che la maggior
parte delle competenze attualmente in uso andranno
aggiornate, riconsiderate, riqualificate, adattate. Alcune
andranno inventate quasi di sana pianta, per rispondere
a tono ai cambiamenti imprevisti, mentre alcuni settori
richiederanno l’integrazione di abilità già esistenti,
insieme all’integrazione sempre più stretta dell’uomo con
la tecnologia.
L’automazione dei sistemi cambierà il nostro modo di

 

154
Giancarlo Orsini
rapportarci alle cose. Non solo nei consumi e nel lavoro,
ma anche nell’apprendimento, ovvero nella capacità di
sviluppare capacità. Nell’abilità di scoprire in noi delle
abilità.
Su questo fronte, le previsioni si sprecano.
Di report che ci illustrano le nuove professioni di domani
ce ne sono a bizzeffe, ne esce uno ogni poco, con i 20 o i 30
lavori del futuro che ancora non abbiamo sentito nominare,
o che dobbiamo assolutamente tenere in considerazione
se vogliamo “sopravvivere” al futuro… Tanti di questi li
abbiamo già imparati a memoria: e-commerce manager,
sviluppatori, programmatori, SEO, broker del tempo,
addetti alla cybersecurity, piloti di droni, life coaches…
The Future of Skills è un progetto di ricerca condotto da
Nesta e dalla Oxford Martin School, che prova a prevedere
l’evoluzione delle competenze richieste dal mondo del
lavoro nel 2030.
Secondo questo studio considerando gli Stati Uniti, una
persona nata nel 1970, qualificata p.e. come “writer
and author”, entro il 2030 avrà una prospettiva di
crescita, nel proprio settore, del 52.4%, purché sviluppi
intuizione (ovvero la capacità di capire e interpretare
il comportamento altrui), coordinazione (calibrare le
proprie azioni in base a determinati input e reazioni), e
persuasione (essere in grado di convincere).
Un web developer della stessa età, ha una prospettiva del 55%.
Un riparatore di biciclette del 50.7%. Ma un prete ne ha
una del 69%. Uno psicologo del 69.8%. (Un ingegnere
aerospaziale del 92.4%.)
Ognuno potrà divertirsi a inserire i propri parametri e
scoprire quali sono le sfide che lo aspetteranno da qui a un
domani non tanto lontano, se vuole continuare a svolgere
il lavoro che già fa50.

 

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Un altro studio interessante è quello presentato dalla
Cognizant nel 2019.
Il quadro delle prossime figure più gettonate è molto
ampio, e va da profili specialistici e “futuristici”, come
ad esempio il Data Detective, figura legale, necessaria
per investigare i misteri dei Big Data e capirne i segreti,
oppure il Quantum Machine Learning Analyst, a figure
forse meno tecniche ma più diciamo-pure-umane come
il Walker/Talker, che dovrà mettersi a disposizione delle
persone più anziane (la società invecchia…) per far loro
compagnia, parlare, accompagnarle in una passeggiata51.
In quasi tutti gli ultimi report sulle professioni del domani,
molte di queste corrispondono a figure di relazione, a
mansioni di contatto diretto tra esseri umani, dove la
tecnologia serve semplicemente da facilitatore, per far
incontrare la domanda con l’offerta (se così ci si può
esprimere, parlando di persone).
Allora, tra queste ci sono infermieri, assistenti personali e
sociali, consulenti, insegnanti specializzati. E poi medici,
in grado di interpretare i dati forniti dalle onnipresenti A.I.,
sempre più accurati e approfonditi, farne una diagnosi, e
curare il paziente.
Quindi, sembra proprio che più la tecnologia cresce, più
cresce l’umanità.
Tecnologia + futuro = umanità.
Ma dov’è il futuro? Quand’è il futuro? Il futuro è hic et nunc
come dicevano gli antichi romani, qui e ora.
È qui, sì, ma a volte facciamo finta che non ci sia, oppure
lo teniamo cortesemente alla porta, in attesa che venga
il suo turno… e fantastichiamo magari sui report come
quelli appena citati, come se fossero cose che non ci
riguardassero affatto. Fantascienza cinematografica.
Nel mondo contemporaneo, allora, è come se esistessero

 

156
Giancarlo Orsini
due spinte contrarie: una tende a restare dov’è, e se
potesse tornerebbe anche un pochino indietro; l’altra
vuole andare.
Lo sappiamo, Internet ha cambiato le regole del gioco.
Forse ha cambiato anche il gioco stesso. Ma noi? Ci siamo
attrezzati di conseguenza? Abbiamo capito a quale gioco
sta giocando il mondo intero? Se continuiamo a giocare
a calcio, mentre tutti quanti stanno giocando a rugby,
possiamo fare tutti i goal che vogliamo. È inutile: non
vinceremo mai una partita.
Messo in altri termini: quale azienda continuerebbe a
produrre videoregistratori oggi, nel 2019, quando stanno
scomparendo anche i DVD?
Eppure, per continuare sull’argomento, nella formazione
succede proprio questo: continuiamo a “produrre”
dei diplomati, laureati o più, con la stessa “data di
scadenza” che avevano – a parità di istruzione – i loro
nonni.
Se da un lato si cominciano a introdurre nel sistema
formativo – se pur con difficoltà – materie, corsi, e discipline
specifiche riguardanti la tecnologia e l’innovazione,
dall’altro lato non si utilizzano i dispositivi e gli strumenti
che questa offre, così che al massimo ci si ferma, quasi
sempre, all’aula computer, ovvero a una specie di zona
grigia, nella quale la tecnologia è letteralmente confinata.
Tutto questo, mentre gli alunni hanno in tasca delle super-
intelligenze artificiali.
Così, quasi a voler ricordare alcune istanze sociali dei
decenni passati, spesso è il sistema d’insegnamento a
non essere al passo, o addirittura (non ho paura a dirlo)
all’altezza dei propri studenti.
E dobbiamo anche considerare un gap generazionale
spaventoso, tra chi da e chi riceve la formazione.

 

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I docenti sono immigrati digitali, come si dice. Gli
studenti sono nativi.
Eppure non c’è altro futuro al di là dell’information
technology, dell’automazione, dei data.
La tecnologia è già e sarà sempre in misura maggiore il più
grande datore di lavoro del mondo.
L’automazione potrà togliere, p.e., x posti di lavoro con
l’introduzione nella catena di produzione di un dato
macchinario intelligente. Vero. Ma per produrre quel
macchinario, progettarlo, costruirlo, programmarlo, essa
ha offerto per lo meno 2x posti di lavoro.
Il fatto è che i primi lavoratori (quelli che vengono sostituiti
dal macchinario) non sono quasi mai riconvertibili nei
secondi (quelli che lo progettano), perché le qualifiche, le
competenze sono diverse.
È questo il problema. Ed è qui che interviene, che
deve intervenire la formazione. Per correggere questo
scompenso che vediamo oggi così diffuso.
Una formazione che deve essere costante, continua,
per permetterci di spostare le risorse, di aderire alle
innovazioni senza timori, di far vivere meglio noi stessi.
Compito della formazione è renderci capaci di
immaginare l’inimmaginabile. E quindi di immaginare
il (proprio-nostro) domani.
Più del 50% di chi oggi va a scuola farà lavori che non
esistono ancora. Verranno loro richieste delle abilità per
le quali forse non si saranno preparati nello specifico, ma
che dovranno essere in grado di acquisire rapidamente.
La richiesta di nuove competenze porterà la necessità
di nuovi asset da valorizzare attraverso nuovi metodi di
formazione (perché quelli vecchi non son più sufficienti).
Qualche esempio?
La flipped-classroom, ovvero la classe ribaltata.

 

158
Giancarlo Orsini
Utilizzando le tecnologie digitali vengono invertiti i tempi
classici della lezione.
Non più l’insegnante che spiega e poi dà il compito a
casa. In questo caso, spetta all’alunno documentarsi
in maniera autonoma e, solo dopo aver fatto questo, si
rivolge all’insegnante che allora lo guida in un percorso di
approfondimento personalizzato.
In un sistema di questo tipo l’alunno è fortemente
responsabilizzato e maggiormente stimolato a prendere
coscienza degli obiettivi che intende raggiungere. È
l’alunno che sceglie.
La formazione diventa così un percorso non imposto
dall’alto, secondo modelli appartenenti al passato e non
più efficienti, ma un processo di collaborazione tra gli
stessi alunni e tra alunni e insegnanti.
Gli strumenti attraverso cui avviene la formazione, specie in
questa sua modalità “al contrario”, sono gli strumenti digitali.
L’Università di Helsinki ha, per esempio, rilasciato un
corso online, gratuito, che permette di capire le basi
dell’Intelligenza Artificiale: Elements of AI52. Nelle
lezioni si spiega in maniera semplice e chiara che cos’è il
machine learning, cosa sono le reti neurali, si analizzano
le implicazioni di questo tipo di tecnologia e via dicendo.
È questo un tipo di formazione accessibile a tutti che, se
non specialistica, è pur sempre necessaria per far partire
un interesse, o anche solo per aggiornare chi non vuole
rimanere tagliato fuori dal mondo che avanza.
Perché l’equazione principale unisce, è vero, formazione
e lavoro, che sono i cardini della società. Ma è vero anche
che la formazione è efficacissima, e vitale, anche al di là
del lavoro. Anche semplicemente per aprire la mente, e
consentirci di capire quel che succede intorno a noi.
Si può studiare a tutte le età. Sarebbe meglio imparare

 

159
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
almeno una lingua da giovani. Ma, se non lo si è fatto, che
lo si faccia non appena ci si rende conto dell’opportunità
che rappresenterebbe per noi, per il nostro benessere,
per il miglioramento della nostra vita.
Si sente il bisogno di andare all’Università in un’età
che sembra fuori tempo massimo? Non è un problema,
anzi, dopo i 50 anni, in Italia, le tasse si abbassano
sensibilmente.
Anche se si appartiene a una generazione non nativa
digitale, anche se ormai è passata l’età canonica
dell’apprendimento sui banchi di scuola, il contributo di
ognuno può essere fondamentale.
Come?
La formazione ci dispone all’elaborazione di strategie, ci
spinge a risolvere i problemi. Ci apre la mente.
L’educazione è l’arma più potente per cambiare il
mondo53.
La formazione è l’unico impegno
(con noi stessi e col prossimo) che
può portarci a raggiungere un punto
d’equilibrio con la tecnologia.
Senza eccessi, né in un senso né in un altro.
Né in positivo né in negativo.
La formazione crea soprattutto una forma mentis.
Per alcuni, le parole-chiave dell’educazione di oggi e di
domani sono dieci54:
1. creatività
6. relazioni
2. empatia
7. leadership
3. analisi
8. diversità
4. apprendimento
9. tecnologia
5. decisioni
10. cambiamento.

 

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Giancarlo Orsini
LE TRE I
Dai miei palchi, e nelle classi che visito, io parlo spesso di
tre “i” che chiamo le chiavi per tutte le porte (che vale la
pena aprire):
1. internet;
2. Inglese;
3. intelligenza emotiva.
La prima “i” è quella di internet perché la rete è la livella
che ci apre al mondo, abbatte distanze e muri, ci può
mettere in contatto con chiunque.
La seconda è l’inglese perché è la lingua universale che ci
permette di comunicare con tutto il pianeta.
Ancora oggi, mentre scrivo, nelle scuole italiane l’inglese
compare nell’elenco delle materie come lingua straniera,
ma non lo è più. L’aggettivo straniero è fuori luogo, con
l’inglese, e finché continueremo a usarlo – e quindi a
pensare l’inglese come qualcosa di estraneo –  andremo
avanti a tagliarci fuori dai futuri che ci aspettano.
La terza “i” è quella dell’intelligenza emotiva perché è – e
resterà per sempre – ciò che ci distingue dalle macchine.
L’unione di
innovazione + adeguata formazione
sarà la carta da giocare per risolvere i grandi
problemi che minacciano il nostro pianeta.
Si gioca sul terreno della tecnologia la soluzione al
problema della fame nel mondo, ad esempio. Come delle
grandi migrazioni di massa che tanto fanno preoccupare
oggi il cosiddetto Primo mondo. Questi paesi, africani o
asiatici, che in un lasso di tempo brevissimo passeranno
da un livello di tecnica arcaico o quasi-arcaico a un livello
di tecnologia digitale intelligente, vivranno una specie

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
di salto nel futuro. E allora – perché questa è una delle
conseguenze più evidenti delle nuove tecnologie – il
concetto dello spostarsi non avrà più lo stesso senso
di prima. Spazi reali e spazi virtuali si sovrappongono e
interagiscono. Io sono qui e contemporaneamente sono
altrove. Ho le risorse del mio territorio, alle quali – grazie
alla connessione – posso aggiungere le competenze o le
conoscenze di un professionista che vive lontano, molto
lontano dal mio villaggio.Ognuno, allora, andrà dove vuole,
se vuole; ma chi vorrà restare potrà farlo.
Le tecnologie faranno risorgere intere nazioni che oggi
sono in crisi. Basterà introdurle, ed educare la popolazione
a
gestirle,
pensarle,
comprenderle,
programmarle,
progettarne di nuove e di più efficaci, tagliate su misura
per i loro bisogni specifici. Se è sempre stata uno
strumento per migliorare la vita dell’essere umano
(dall’apprendimento empirico nei tempi antichissimi
che ha innescato e permesso l’evoluzione; sino alle
gratificazioni personali ed economiche che un tempo
dava l’avere una Laurea), nell’epoca digitale la formazione
è un fattore imprescindibile. La formazione inizia dai
nostri genitori, da chi ci mette al mondo e si prende cura
di noi. Prosegue con l’ambiente che frequentiamo e che
ci influenza e guida. Continua a scuola. Va avanti durante
il nostro percorso professionale e non finisce nemmeno
quando smettiamo di lavorare.
La formazione deve essere il motore delle nostre
aspirazioni. Fatta nei termini più flessibili e personalizzati
possibili. Prima, dopo e/o durante il lavoro. A intervalli
regolari o irregolari. Always on. Continua, ma se non si può
fare altrimenti: interrotta e poi ripresa. Dinamica. Mobile.
Orizzontale.
Cross-mediale.
Interattiva.
Intelligente.
Future-proof.

 

162
Giancarlo Orsini
La formazione deve toccare i temi che ci stanno a cuore
– la legge per gli avvocati, la matematica per i matematici,
la medicina per i medici – ma deve anche darci strumenti
per capire chi ci sta intorno. Dev’essere aperta all’altro,
deve aprirci alla storia e alle storie. Alla letteratura,
alla musica, alla bellezza. Deve aiutarci a sentire chi
ci è vicino e a interpretare chi non lo è. Deve essere
specialistica, e puntare all’eccellenza, ma deve anche
uscire dall’ordinario, dal quotidiano, per farci vedere
il mondo e chi lo abita con occhi nuovi. Deve aiutarci a
costruire. Deve farci venire voglia di sognare. Tutto
questo, ovviamente, se non vogliamo che, come titolava
un quotidiano italiano qualche tempo fa, un algoritmo
definitivo ci seppellisca tutti quanti…

 



CERCO SEMPRE DI FARE
CIÒ CHE NON SONO
CAPACE DI FARE, PER
IMPARARE COME FARLO
Pablo Picasso

 

164
Giancarlo Orsini
DANIELE MANNI
Fra i 50 fi nalisti al Global Teacher Prize 2015 (Premio “Nobel” per
l’insegnamento).
Fra i 12 fi nalisti agli “Innovation and Entrepreneurship Teaching
Excellence Awards 2018”.
Uffi cialmente insegna Informatica da 30 anni presso l’Istituto “Galilei-
Costa” di Lecce, in realtà insegna ai suoi studenti discipline alternative
come Innovazione, Creatività e Cambiamento al fi ne di incentivarli
ad ideare e gestire micro attività imprenditoriali (startup), a partire
da 14 anni.
i-startup.it
INSEGNANTE DI INFORMATICA
INSEGNANTE DI INFORMATICA

 

165
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14.
SOSTENIBILITÀ
MIGLIORARE LO SCENARIO – CREARE
BENESSERE – IL PUNTO DI EQUILIBRIO –
THE GREEN PLEDGE – THERE IS NOT PLANET B
– REBOOT DELLE ASPETTATIVE SUL FUTURO
Che la formazione, l’educazione (scolastica e non), gli
insegnamenti ricevuti da piccoli e poi da grandi ci orientino
verso una fluidità del pensiero e una prontezza delle
risposte, e così facendo verso una sempre rinnovabile
disponibilità all’adattamento, è un bene sia per noi stessi,
che saremo in tal modo capaci di comprendere e affrontare
le sfide dell’oggi e del domani, sia – come ricaduta – per
tutti quelli che stanno intorno a noi, con i quali lavoriamo,
oppure studiamo, oppure ci troviamo semplicemente a
scambiare due parole su “che tempo farà nel 2031”.
In ambito produttivo, ad esempio, la flessibilità delle
scelte, l’opportunità di certe strategie, la lungimiranza e la
capacità di valutare un’azienda, o anche un intero settore
nel suo complesso, ha portato a volte a delle risoluzioni
che – magari avversate in anticipo, criticate perché
non conformi allo “stesso schema” in vigore fino a quel
momento – hanno poi creato, insieme a un’aumentata
redditività, un accresciuto benessere, non solo per i
produttori direttamente interessati, ma per tutto il tessuto
circostante.
Nel 1927, il motto (e il conseguente spirito che ne derivò)
“a car for every purse and purpose” consentì a General
Motors di superare per fatturato la Ford.

 

166
Giancarlo Orsini
L’attuale CEO dell’azienda, Mary Barra, prima donna a capo
di una grande casa produttrice nel settore automobilistico,
ha operato sin da subito una ristrutturazione dei piani
industriali, tenendo conto dei cambiamenti del mercato e
dei desideri dei “suoi” consumatori. Come? Per esempio
puntando più sui modelli sportivi che non sulle berline,
sostituendo la classica Chevrolet Impala con il piccolo SUV
Chevy Terrain55.  Mary Barra ha chiuso alcune fabbriche
e, diciamo così, “ridotto” la produzione di un’azienda che
al momento (2013) era comunque in crescita, ritirando
per esempio i punti vendita dai mercati esteri in perdita,
e questo nell’ottica, credo, del prepararsi ai cambiamenti
del futuro, cambiamenti che evidentemente venivano
avvertiti come in corso nel settore automobilistico.
Le mosse successive sono state l’investimento nella
produzione di auto elettriche, superando in questo la Tesla
di Elon Musk, che nel frattempo ha avuto dei rallentamenti,
e nei veicoli a guida autonoma; ora c’è il programma per
l’introduzione, entro la prima metà del 2020, in tutte le
automobili prodotte (Chevrolet, Cadillac), come nei truck
e nei crossover, dell’assistente vocale Alexa.
Ecco che allora l’azienda non è solo un colosso produttore
di automobili (in questo caso il maggior produttore del
mondo), ma soprattutto un generatore di benessere e
quindi di happiness, per dipendenti, fornitori, partner,
investitori e via dicendo, fino al cliente.
Generare benessere, poi, pare porti a generare profitti più
duraturi, addirittura meno altalenanti.
Se generi benessere per chi lavora in azienda con te, non
lo perdi. Se lo fai con chi sta fuori, lo porti ad essere felice
di starti vicino. Se generi benessere per chi ti compra (per
chi acquista i tuoi prodotti, i servizi e/o le esperienze),
stringi una relazione solida. Se proteggi il benessere del

 

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tuo territorio, se lo aiuti a crescere, se lo nutri e lo tuteli,
aiuti a crescere chiunque ci viva, compreso te, i tuoi figli e
i tuoi clienti.
Chi l’ha capito sta già lavorando sul proprio statuto – e
soprattutto sul proprio pensiero, con le parole e con i fatti
– nella direzione delle B-Corp, Benefit Corporation.
Viviamo in un mondo che sembra (ed è) in bilico su una
frana. Pare alle volte di non aver più mosse da spendere,
quasi come nel finale del film “Le iene” di Quentin
Tarantino: il primo che si decide a fare un passo in avanti
è destinato a morire, e con lui tutti gli altri.
Eppure, muoversi è l’unica soluzione, l’unica chance
che abbiamo.
Si è parlato di automobili, appunto. L’auto è quel prodotto
che unisce in sé – anche a livello simbolico – il principio
della vita umana come la conosciamo su questo pianeta
in questo momento storico (fatta di spostamenti continui,
viaggi di lavoro e/o di piacere, trasferimenti, migrazioni,
circolazione di merci e di persone) alla minaccia più grande
per questa stessa vita e non solo per lei (le emissioni
inquinanti, il riscaldamento globale, il cambiamento
climatico, la catastrofe ambientale).
L’automobile unisce in sé i due estremi (positivo e
negativo) della nostra civiltà contemporanea. Li nomino
così: libertà e incoscienza.
La libertà è data anche dagli strumenti e
dai mezzi che abbiamo a disposizione.
L’auto ci permette oggi, in totale autonomia, una facilità
e rapidità di movimento mai avuta prima (un cavallo, al
trotto, raggiunge un massimo di 50 km/h, con una media
di circa 15; non riporto i valori dell’auto).

 

168
Giancarlo Orsini
L’incoscienza è parte del progresso, credo; fa parte
dell’esercizio di questa nostra quasi sconfinata libertà.
È come una mancanza che ci portiamo dietro, che non
ci permette di vedere i problemi a mano a mano che si
presentano, oppure che ci permette di ignorarli sperando
che tutto poi vada bene come è sempre andato. Così
continuiamo a stendere asfalto e cemento per far scorrere,
appunto, le automobili sulla superficie terrestre, e siamo
ancora “attaccati” ai giacimenti petroliferi, e con molta
difficoltà proviamo a convincerci che non sempre vale la
pena avere un’auto di proprietà, ora che esistono sistemi
di car sharing e di condivisione.
Tutto sta nel trovare l’equilibrio tra i punti distanti,
nell’annientare i loro rispettivi eccessi in un giusto piano
di mezzo che tenga conto del singolo, come del complesso
delle esistenze.
È questa la sostenibilità di cui tanto si parla: un punto
d’equilibrio.
Per riuscirci dobbiamo partire dalla consapevolezza di un
minimo e di un massimo, dall’osservazione di due forze
che si contrastano, due estremi che si oppongono. Senza
estremi in opposizione non avrebbe senso parlare di
equilibrio.
Per esempio, tra produzione in larga scala e bisogni
personali, la bilancia dovrà assestarsi tenendo conto
dell’improrogabile necessità di ridurre drasticamente le
emissioni di gas serra.
E proprio l’ambiente – che, ricordiamolo, come la vita è uno
ed uno solo – è, o potrà essere, il punto di incontro degli
estremi. Perché l’ambiente, per sua natura, è un regolatore,
è un sistema efficiente, che distribuisce e unisce.
Ma questo, in fin dei conti, si sa da tempo. Anche se
l’orologio del countdown scorre velocemente, e spesso si

 

169
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
fa finta di nulla, e “i grandi potenti della Terra” sembrano
far finta di nulla, l’attenzione per l’ambiente è uno dei
maggiori catalizzatori per la ricerca e l’innovazione. E
ha prodotto molti sistemi utili, molte idee ancora da
sviluppare ma potenzialmente risolutive di alcune criticità;
e a volte anche dei prototipi più che fantasiosi…
Si va, allora, per fare solo alcuni esempi, dai sistemi di
monitoraggio della distribuzione dell’energia nelle grandi
centrali elettriche, in grado di modellare un piano che
tenga conto dei picchi e dei flussi di consumo nei vari
momenti della giornata e dell’anno, a seconda delle
zone; alle auto elettriche di cui ho parlato; al controllo in
remoto delle coltivazioni; ai sistemi per ripulire i mari e
i fiumi dalla plastica; alle app che invogliano il cittadino
a lasciare l’auto a casa, ricompensando il volenteroso
eco-camminatore con un tot di moneta virtuale ogni mille
passi56, sino… alle postazioni a pedali per la ricarica dei
cellulari, oppure alla bicicletta che, sempre pedalando, fa
i frappè…
Comunque, qualunque sia la strada che vorremo
imboccare, sarà sempre l’uomo a illuminare la via,
a decidere di sé e di ciò che lo circonda, attraverso
le proprie azioni e le proprie scelte; sarà l’uomo a
decidere se il futuro prossimo diverrà “destino” e
quindi catastrofe, oppure sarà il “domani” di tutti noi.
Un capitolo del libro “Technology vs. Humanity” del
futurologo tedesco Gerd Leonhard si intitola: “Earth
2030: Heaven or Hell?” – Pianeta Terra 2030: Inferno o
Paradiso?57
Questa data del 2030 torna con frequenza negli ultimi
tempi, come un allarme che sta per suonare. Ma non tutti,
per fortuna, abbandonano la barca scappando nel rifugio
antiatomico.

 

170
Giancarlo Orsini
Per esempio, nel settembre del 2019, trentatré aziende
operanti nel settore delle tecnologie hanno sottoscritto,
in Estonia, un patto, il green pledge, per arrivare a una
produzione totalmente sostenibile, a zero impatto sul
clima e sull’ambiente, entro dieci anni da oggi, ovvero
entro il 203058.
L’obiettivo è trovare soluzioni innovative al problema e,
rivolgendosi anche alle aziende del resto del mondo,
incoraggiarle a unirsi all’impegno.
Attraverso le tecnologie digitali si dice che è possibile
rimodellare l’impatto ambientale, ad esempio nei settori
della logistica e dell’agricoltura.
Si stima che il 2030 possa essere il punto di rottura per
il cambiamento climatico, superato il quale ci sarebbe
un collasso (ovviamente: continuando così come stiamo
facendo oggi – 2019).
Gli anni Venti del XXI secolo saranno una decade cruciale
per intervenire su questa tendenza. La domanda che
è stata posta dal Forum for the Future è: saremo noi a
cambiare la storia o la storia a cambiare noi?59
Per me non esiste una risposta univoca. Al di là della
spinta necessaria all’azione, al di là dei nostri interventi,
progetti e propositi, più o meno intelligenti, più o meno
geniali, c’è un altro fatto che dobbiamo tenere a mente, e
che proprio i cambiamenti climatici ci stanno insegnando.
Il fatto è che dovremo sempre fare i conti con qualcosa
che succede nonostante noi stessi.
Il cambiamento climatico, per quanto provocato dall’uomo,
può essere invertito. Ma non dobbiamo dimenticare che i
mutamenti nella natura ci sono sempre stati. Se guardiamo
alla storia della nostra Terra, per esempio, ci accorgiamo
di quanto la Natura sia come un processo ininterrotto di
mutamenti.

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
Da quando il nostro bellissimo pianeta azzurro si formò,
quattro miliardi e mezzo di anni fa, esso è stato una valle
di lava e di fulmini, un punchball per asteroidi e meteoriti,
si è ricoperto di ghiacci fino a diventare una palla di neve,
ha generato creature viventi che poi sono state uccise da
nuove creature viventi venute dopo di loro…
Tutto questo accadde quando ancora l’essere umano non
era comparso.
Quindi, se da un lato dobbiamo mettere mano
assolutamente, e senza ormai più ritardi né scuse, a quel
che noi, in quanto specie umana, abbiamo provocato,
dall’altro lato dobbiamo anche ricordarci che, risolti
questi problemi, il mondo intorno a noi non smetterà di
cambiare.
L’eruzione di un grande vulcano potrebbe da un momento
all’altro far tornare il freddo, o rendere impossibile la
navigazione aerea, come già successe con l’Eyjafjöll in
Islanda, nel 2010.
La risposta è l’adattamento, perché il mondo non è
immutabile, e i cambiamenti non sono soltanto quelli
provocati dall’inquinamento, o introdotti dall’innovazione
tecnologica. Anzi, proprio in quest’ultima abbiamo la
più grande opportunità di cavalcare il cambiamento,
qualunque esso sia.
La tecnologia ci salverà la vita.
Perché, grazie alla sua capacità adattiva, e alla sua
tendenza all’orizzontalità, ci aiuterà a trovare le soluzioni
più efficaci per affrontare i problemi, presenti e futuri. E
infatti, la qualità fondamentale delle attuali tecnologie (lo
abbiamo detto) non è tanto nelle stratosferiche abilità di
calcolo degli algoritmi cervelloni, quanto nell’offerta di
una connessione globale.

 

172
Giancarlo Orsini
Ancora una volta, la tecnologia rende all’uomo
l’umanità. Rende il singolo alla collettività e viceversa.
Cooperazione, condivisione delle informazioni, unione
delle intelligenze, networking ecc. Tutto questo è stato
reso possibile dalla rete, potenziato dalla rete, ma non
inventato dalla rete.
Sin dagli inizi dei tempi l’uomo ha fatto un lavoro di
squadra: per cacciare, per costruire prima le “capanne”
poi le “infrastrutture”, per coltivare il cibo, per scoprire
quali cibi erano commestibili e quali no. L’umanità è
una catena virtuosa fatta di condivisione degli obiettivi
e di suddivisione dei compiti necessari a raggiungerli. È
una filiera, se vogliamo parlare in termini produttivi. E
qui torniamo allora, di nuovo, alla sostenibilità, che è un
concetto collettivo, un impegno comune che nessuno,
per quanto possa e debba fare nel proprio piccolo, potrà
mai raggiungere da solo. Si può certo vivere in maniera
sostenibile, stando attenti al riciclo, a evitare lo spreco, ad
acquistare certi prodotti invece che altri. Ma se fossimo i
soli a farlo? Sarebbe inutile, ad esempio, che solo cento
comuni, mettiamo in tutta Italia, facessero la raccolta
differenziata; oppure sarebbe inutile che tutti quanti
dividessimo plastica, metallo, vetro, organico ecc. e poi
l’azienda preposta alla raccolta versasse tutto quanto
insieme in un’unica voragine a cielo aperto.
Gli esempi potrebbero essere tanti. Ma quello che mi sta a
cuore sottolineare è che
l’uomo partecipa al destino comune anche
quando sceglie di non parteciparvi.
Se una nazione decide di tirarsi indietro, rispetto a degli
obiettivi concordati, mette a rischio il progetto globale.

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
Eppure, se ci pensate, è assurdo. Non essere sostenibili
significa caricarsi di un peso (in questo caso di un rischio)
che non si può portare, che non si può, appunto, sostenere.
Forse questo peso è, come dire, sparpagliato nei mille
rivoli della civiltà contemporanea, in settori diversi,
interessi diversi, progetti diversi, burocrazie diverse, così
che non se ne riesce a vedere (o non se ne vuole vedere)
la vera entità?
Mhm…
In ogni caso, è un dato di fatto che la sfida della
sostenibilità e dell’adattamento, che sono poi le risposte
al cambiamento globale (climatico e non), si gioca su mille
fronti. Dalle tecniche produttive alla scelta, per esempio,
dell’alimentazione. L’alimentazione sostenibile è uno dei
traguardi che la nostra umanità dovrà tagliare a breve. Per
vari motivi. Il trend demografico del pianeta è in aumento.
Per il 2050 si stima che avremo raggiunto i dieci miliardi di
unità, superandole per la fine del secolo60.   Ci sono paesi,
come ad esempio la Nigeria, che si pensa raggiungeranno
il miliardo nel giro di poco tempo.
Per il momento, come si legge spesso nei cartelli delle
ultimissime manifestazioni ambientaliste, there is not
planet B. Le risorse del nostro pianeta potrebbero dar
da mangiare anche a venti miliardi di persone, credo;
basterebbe ridurre i dislivelli e trovare un punto di
equilibrio, ovvero: basterebbe essere sostenibili. Misurare
il peso da portare, dividerlo per ogni abitante del pianeta,
ripartire diritti e doveri e via dicendo. Creare uno schema
armonico e virtuoso di cooperazioni e collaborazioni.
Iniziare a ridurre gli sprechi.
Le Intelligenze artificiali ci aiuteranno a calcolare
fabbisogni produttivi e nutritivi, e quindi a ridurre lo spreco.
Saremo in grado di abbattere notevolmente l’incidenza di

 

174
Giancarlo Orsini
malattie derivanti da un’alimentazione scorretta grazie
all’analisi dei dati personali, al profilo genetico, di calibrare
le proprietà dei cibi in base ai compiti che dobbiamo
svolgere, in base ai momenti e alle varie fasi della nostra
vita.
Per quanto riguarda la dieta, le prospettive sono diverse,
anche se quasi tutti concordano sulla necessità di
rivedere e abbattere drasticamente il consumo di carne
e convertirsi a diete di altro tipo, in grado di soddisfarci
sia sul fronte del gusto e della nutrizione, sia sul fronte
produttivo, in quanto a risorse, emissioni, gestione ecc.
Gli insetti, per questo, sono i candidati ideali.
In Africa e in Asia già si consumano abitualmente.
Quello del cibo è solo un esempio tra i mille, ma ci aiuta
a capire come sia necessario fare il reboot delle nostre
aspettative sul futuro. Ridisegnare tutti gli scenari (umani
e naturali) del pianeta di qui a n-anni.
Probabilmente saremo diversi, forse anche molto diversi.
In cosa? Chi può dirlo. Le cose più semplici da immaginare
non sempre sono quelle che si realizzano.
Oggi ci figuriamo, appunto, come mangiatori di insetti,
o di pillole, oppure come abitanti di case connesse,
completamente
automatizzate,
dall’aspetto
lineare
e quasi immateriale; noi stessi ricoperti di sensori e
di piccolissimi device indossabili, quasi indistinguibili
dal nostro stesso corpo, che ci renderanno ancora più
connessi, ancora più legati gli uni agli altri.
Ma tutto queste sono soltanto immagini, che forse non
danno davvero l’idea di come sarà il futuro. Anche se le
immagini sono utili per proseguire.
Spesso la fantascienza, l’arte, la letteratura, hanno
stimolato gli scienziati a guardare appena più avanti di
quanto stavano facendo, e li hanno magari indirizzati

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
verso frontiere che altrimenti sarebbero rimaste in attesa
per chissà quanto tempo.
Negli anni Settanta si pensava che all’inizio del XXI secolo
l’uomo avrebbe già vissuto nello spazio. Non è stato così
(ISS a parte). Non siamo più tornati sulla Luna, non siamo
ancora sbarcati – in carne ed ossa – su Marte né su altri
pianeti. Ma abbiamo, lo stesso, continuato a lavorare, a
sognare, a sperimentare, ed ora stanno per partire i primi
voli turistici suborbitali.
La realtà ha ricevuto una spinta dall’immaginazione, e poi
l’ha superata, seguendo naturalmente la sua via.
Ecco perché ho scritto, da qualche parte (credo più di una
volta!) in questo libro, che il futuro non esiste. Non esiste
ora, perché esisterà domani. E quando esisterà esso
non sarà più, perché sarà allora un nuovo presente che
aspetta, di nuovo, un nuovo futuro.
Il futuro è come uno spazio aperto, una pagina bianca.
Vederlo non è un gioco da chiaroveggenti. Piuttosto, è come
accendere per la prima volta un telescopio interstellare,
appoggiarci l’occhio, e osservare una nebulosa, o una
galassia, quei mille puntini luminosi che fanno un insieme
straordinario, strano, tanto familiare quanto lontano.
È la nostra immaginazione o è la realtà?

 



L’UOMO PARTECIPA
AL DESTINO COMUNE
ANCHE QUANDO SCEGLIE
DI NON PARTECIPARVI
Giancarlo Orsini

 

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Esperto nel settore green economy, è anche scrittore.
Componente del gruppo di Lavoro Energia ed Ambiente del G20 dal
2013 come rappresentante della società civile ed è delegato alla
Conferenza delle Parti dell’ONU sui cambiamenti climatici dal 2015.
Componente di diversi consigli d’amministrazione di società e
fondazioni, ha fondato anche BPSEC srl, vincitrice di numerosi premi
nel settore dell’innovazione ambientale.
Ha coniugato il suo mestiere con la passione per la corsa negli ambienti
estremi. Ha attraversato infatti sette deserti sia in competizioni che in
solitaria. In Amazzonia nella foresta pluviale al confi ne tra Perù e Brasile
ha corso a piedi per 48 ore nel 2019, prima persona ad avere realizzato
questa impresa, per raccogliere fondi e sensibilizzare sull’emergenza
climatica.
IMPRENDITORE GREEN,
IMPRENDITORE GREEN,
ULTRAMARATONETA, SCRITTORE
ULTRAMARATONETA, SCRITTORE
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
DANIELE BARBONE
bpsec.it

 

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
15.
CHI VUOI ESSERE?
Volevo scrivere un libro che non fosse tanto un prodotto,
come si dice, ma un servizio. E un servizio non è un oggetto
che lavora per te, al posto tuo, ma un’opportunità che tu
scegli di vivere.
Così, questo libro non finirà perché non può finire. E
non può finire principalmente perché parla dei futuri,
ovvero del tempo. E il tempo non sembra avere nessuna
intenzione di finire.
Le pagine successive, allora, sono uno dei futuri che – se
vorrai – potrai vivere e che forse potrà essere anche quello
di tutta l’umanità.
Forse è una pagina da scrivere, o forse è una pagina
che deve restare così com’è, aperta alle possibilità che
verranno e che, ora, né io né te sappiamo immaginare…
Ora a te le conclusioni.
La strada è tua, il futuro è tuo. Vai! Go!
Dieci domande per te, posson bastare?
Se uno fosse davvero “bravo”, forse ne potrebbe fare una
sola, di domanda, che le riunirebbe tutte quante insieme.
Un’unica domanda per trovare insieme la direzione
migliore per arrivare nel futuro, ovvero nel presente
prossimo. Per il momento, io te ne faccio 10.

 

180
Giancarlo Orsini
1.
QUALI SONO LE 5 COSE CHE SECONDO TE
CONTANO DI PIÙ NELLA VITA? TRA QUESTE
C’È UN TUO SOGNO DA REALIZZARE?
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181
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
2.
NEL REALIZZARE IL TUO SOGNO TI FERMA
LA PAURA DI FALLIRE? E COSA FARESTI
SE FOSSI SICURO DI NON  FALLIRE?
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182
Giancarlo Orsini
3.
COME IMMAGINI LA TUA VITA
TRA 5 ANNI?
E TRA 10 ANNI?
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183
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
4.
UN MONDO ECOLOGICAMENTE PERFETTO
È SOSTENIBILE? E DUNQUE
COSA È PER TE LA SOSTENIBILITÀ?
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Giancarlo Orsini
5.
QUALI SONO I TUOI PIÙ GRANDI TALENTI?
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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
6.
QUALI SONO LE TUE PASSIONI PIU’ FORTI?
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186
Giancarlo Orsini
7.
HAI MAI RINUNCIATO
A DEI TUOI PROGETTI O A DEI SOGNI?
SE SI A QUALI? E PERCHÉ?
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187
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
8.
HAI UN PROGETTO PER IL QUALE VALE
VERAMENTE LA PENA TENTARE?
HAI ANCHE UNA STRATEGIA INNOVATIVA
PRECISA PER REALIZZARLO?
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Giancarlo Orsini
9.
DI QUALE FORMAZIONE AVRESTI BISOGNO
PER SVILUPPARE IL TUO PROGETTO?
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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
10.
SE IN QUESTO MOMENTO AVESSI LE RISORSE
NECESSARIE PARTIRESTI SUBITO COL TUO
PROGETTO? QUALI RISORSE TI MANCANO
E DOVE POTRESTI TROVARLE?
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BASTA TROVARE
IL BENE NEL “MALE”
E FARNE UN PUNTO DI FORZA
ANZICHÉ UNA DEBOLEZZA.
IL SUCCESSO, LA FAMA
E PERCHÉ NO I SOLDI,
NON PIOVONO DAL CIELO.
BASTA NON ARRENDERSI
Massimiliano Sechi

 

191
….
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
NOME
testo
sito
….
MASSIMILIANO SECHI
Fondatore e Direttore Generale della NOEXCUSES ACADEMY,
Massimiliano Sechi nasce con una grave malformazione chiamata
focomelia che ha impedito il completo sviluppo degli arti inferiori e
superiori. La sua condizione fi sica e l’ambiente in cui è cresciuto lo
hanno portato a vivere e superare ostacoli ritenuti impossibili,
raggiungendo successi straordinari.
“NoExcuses”, il suo stile di vita oltre che il suo Metodo, spiega
semplicemente
la
chiave
per
ottenere
Successo:
acquisire
Consapevolezza della propria Autenticità e prendersi la piena
Responsabilità delle proprie Emozioni e dei propri Risultati.
Massimiliano basa la sua Formazione sugli strumenti che ha utilizzato
in prima persona per superare le sue diffi coltà e diventare prima
Campione del Mondo negli eSports, poi il Life Mentor di persone e
professionisti di successo (oltre che per le centinaia di migliaia di
persone che lo seguono).
SPEAKER INTERNAZIONALE, LIFE MENTOR,
SPEAKER INTERNAZIONALE, LIFE MENTOR,
IDEATORE DEL METODO “NOEXCUSES”,
IDEATORE DEL METODO “NOEXCUSES”,
E CAMPIONE DEL MONDO NEGLI ESPORTS
E CAMPIONE DEL MONDO NEGLI ESPORTS
massimilianosechi.com

 

 

193
16.
IL TUO GO
Come dicevo nell’introduzione, questo libro non si limita
a parlare di innovazione, ma la fi nanzia. Ecco quindi che
questo spazio è tuo. Se hai un progetto che nasce da un
sogno, qui puoi raccontarmelo mandando un email a:
storie@golibro.it
Come?
Scoprilo inquadrando questa pagina!
Se l’idea è buona, cioè ben argomentata, convincente e
sensata, verrà editata, condivisa con te, e poi pubblicata
su questo libro: da subito, inquadrando la pagina con
l’App, apparirà in realtà aumentata e verrà poi stampata
nelle edizioni successive.
Non è tutto. Una volta l’anno, una commissione di cui io
sarò il presidente si riunirà per esaminare le proposte
ricevute. L’idea migliore verrà premiata con un periodo dai
tre ai sei mesi in California, nella Silicon Valley, perché chi
l’ha pensata abbia la possibilità di mettere le gambe alla
sua idea, e le risorse per farlo.
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CI SARÀ SEMPRE UNA PENNA
PER SCRIVERE IL FUTURO,
MA NON CI SARÀ MAI UNA GOMMA
PER CANCELLARE IL PASSATO
Albert Einstein

 

205
Milano, 1969. Scrittore, divulgatore, e keynote speaker internazionale,
nei suoi contributi coniuga business e management con fi losofi a, arte
e scienza. Chief Innovation, Sustainability & Value Strategy Offi cer di
Banca Mediolanum e Presidente di Flowe, società benefi t del Gruppo
Mediolanum. Fondatore e Presidente di Be Your Essence (BYE), start-up
innovativa a vocazione sociale. Co-Fondatore di futureofi taly.it gruppo
operativo per la narrazione di un mondo nuovo e la rinascita dell’Italia.
Ha ideato e fondato Mediolanum Corporate University, riconosciuta
come una delle migliori corporate university al mondo.
Nel suo blog www.oscardimontigny.it indaga i mega trend e i nuovi
scenari sociali e di mercato.
Nel 2016 ha pubblicato con Mondadori il best seller Il tempo dei
nuovi eroi. È attualmente nelle librerie con Gratitudine. La rivoluzione
necessaria.
SCRITTORE E
SCRITTORE E
DIVULGATORE INTERNAZIONALE
DIVULGATORE INTERNAZIONALE
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
OSCAR DI MONTIGNY
oscardimontigny.it

 

 

207
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
GIANCARLO ORSINI?
“Se sei una signora non hai bisogno
di dirlo, perché si vede.”
Dopo tutto questo dovrei parlare di me? Dirvi quando e
dove sono nato, come è stata la mia formazione, quali i
miei successi, quali i miei insuccessi, quali i miei sogni,
speranze, progetti? Non credo ce ne sia bisogno.
Se ho usato la prima persona singolare (Io), è perché sono
abituato a farlo, come tutti noi, come tutti voi; perché è
più comodo e più semplice. Spero di aver detto, in queste
pagine, tutto ciò che avevo da dire. Altrimenti, possiamo
sempre incontrarci di persona… Scherzi a parte, un libro
come questo potrà sembrare a volte “molto personale”, e
allo stesso tempo “molto universale”. È così perché parla
di me, ma anche di te. Parla di noi e di voi.
Giancarlo Orsini, allora, propriamente parlando, c’entra
solo in senso laterale; forse soltanto nella misura in
cui le iniziali del suo nome, togliendo i puntini che le
separerebbero, si traducono in un invito all’azione, che è
poi il titolo di questo libro: GO!

 

 

209
CONCLUSIONI
Per chiudere vi riporto un discorso pronunciato da un
uomo che ha lasciato un lavoro sicuro e ben pagato per
inseguire il suo sogno, e che ci ha creduto così tanto da
trasformarlo in realtà.
«Oggi vorrei parlarvi della differenza che c’è tra un dono
e una scelta. L’intelligenza è un dono, la gentilezza una
scelta; ricevere un dono è semplice (dopo tutto ci viene
donato), scegliere è già più diffi cile. Puoi affascinare te
stesso con i doni che hai ricevuto ma, se non stai attento,
questo probabilmente andrà a discapito delle tue scelte.
L’essere umano, progredendo in questo modo, continuerà a
sorprenderci: inventeremo il modo di creare energia pulita,
atomo dopo atomo, costruiremo macchine minuscole
capaci  di riparare le cellule danneggiate… Questo mese
sarà annunciato che siamo ormai in grado di sintetizzare
la vita e negli anni a venire non solo saremo in grado di
sintetizzarla, ma anche di progettarla con determinate
specifi che.
Sono anche convinto che riusciremo a comprendere il
funzionamento del cervello umano. Jules Verne, Mark
Twain, Galileo, Newton e i curiosi di tutte le epoche
vorrebbero essere ancora vivi in questo momento.
209
vorrebbero essere ancora vivi in questo momento.
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vorrebbero essere ancora vivi in questo momento.

 

210
Giancarlo Orsini
Come civiltà abbiamo avuto così tanti doni… Ma anche
come individui. Come useremo questi doni? Saremo
orgogliosi dei nostri doni e delle nostre scelte ?
Ho avuto l’idea di fondare la mia azienda 16 anni fa; ho
riflettuto sul fatto che l’utilizzo del web stava crescendo
del 2300% l’anno. Non avevo mai visto – né sentito parlare
di – qualcosa che crescesse a una tale velocità e l’idea di
creare un’azienda on-line con milioni di titoli (qualcosa che
semplicemente non poteva esistere in un posto fisico) per
me era davvero elettrizzante.
Avevo appena compiuto 30 anni, ed ero sposato da uno,
quando dissi a mia moglie che volevo lasciare il mio
lavoro, e lanciarmi in questa pazzia che probabilmente
non avrebbe funzionato (così come era successo per
altre startup) e che non ero sicuro di quello che sarebbe
successo dopo. Mia moglie, che è qui seduta nella seconda
fila, mi disse che dovevo farlo. Ho sempre voluto essere un
inventore e lei ha voluto che io seguissi la mia passione.
Al tempo lavoravo per una società finanziaria a New York
City, con un gruppo di gente davvero intelligente e con un
capo davvero brillante che stimavo moltissimo.
Così andai dal mio capo e gli raccontai di quello che volevo
creare. Facemmo una lunga passeggiata a Central Park,
mi ascoltò attentamente  e alla fine mi disse che era una
grande idea, ma che sarebbe stata ancora più grande per
chi non aveva un buon lavoro.
Quello che disse aveva senso e mi convinse a rifletterci su
ancora per 48 ore prima di prendere una decisione. Messa
in questi termini era davvero una decisione difficile ma alla
fine decisi che dovevo provarci. Non pensavo che mi sarei
pentito di averci provato e di aver fallito. Credevo invece
che sarei stato perseguitato dalla decisione di non averci
provato. Dopo tante considerazioni ho scelto il cammino

 

211
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
meno sicuro: seguire la mia passione. Sono orgoglioso di
questa scelta!
Domani, nel senso più reale del termine, la vostra vita,
la vita che voi costruirete da zero con le vostre mani,
avrà inizio! Come userete ciò che vi è stato donato? Quali
decisioni prendere? Sarà l’inerzia a guidarvi o seguirete
la vostra passione? Seguirete i dogmi o sarete originali?
Sceglierete una vita comoda o una vita all’insegna del
servizio e dell’avventura? Appassirete sotto le critiche,
o seguirete la vostra convinzione? Quando sarà difficile,
mollerete o sarete implacabili? Sarete dei cinici o dei
costruttori? Sarete abili a spese degli altri o sarete gentili ?
Azzardo  una profezia: quando ormai ottantenni in un
momento di calma vi ritroverete a raccontare la vostra vita
a voi stessi, la storia più interessante sarà quella di tutte
le scelte che avrete compiuto. Alla fine noi siamo le nostre
scelte: fate in modo che la vostra vita sia una grande storia.
Grazie e arrivederci»
J.B.
Il discorso integrale è qui, in lingua originale, con i
sottotitoli. È stato pronunciato alla Princeton University, il
31 maggio del 2010, da J. B.

 

 

213
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
LE INTERVISTE
SPECIALI
Questo è un progetto che per parlare di innovazione e di
cambiamento ha bisogno di tanti amici che ne condividono
gli scopi e i valori.
Ecco perché nelle prossime pagine troverai le interviste
speciali che ho realizzato per darti sempre nuovi stimoli.
Ogni volta che verrà aggiunta un’ intervista speciale ti
verrà inviata una notifica sulla mia App, tu dovrai solo
inquadrarla e ascoltare.

 

INTERVISTA
SPECIALE
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INTERVISTA
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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
PARTNER
Come avrai capito questo non è solo un libro, ma un vero e
proprio progetto che coinvolge vari professionisti e diverse
aziende a cui nelle prossime pagine voglio dare voce
perché raccontandoti delle loro innovazioni, ti facciano
vedere  – e sentire, e addirittura toccare con mano – quello
che fanno, perché lo fanno, e come.
Grazie,
GO

 

226
Giancarlo Orsini
RadioMediaset
P A R T N E R
La nostra Grande famiglia

 

227
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
RadioMediaset
Radio 105 è il primo network privato italiano e fa parte, insieme a
Virgin Radio, R101, Radio Monte Carlo e Radio Subasio, del Gruppo
RadioMediaset.
Emittente dalle molte anime, Radio 105 si caratterizza per un’ampia
varietà di stili, programmi, personalità rivolti a un pubblico anch’esso
eterogeneo.
Radio 105 è unica perché differente, differente perché controcorrente,
diversa, originale.
Radio 105 fa dell’intrattenimento e dell’attenzione alla contemporary
music la propria cifra distintiva e sceglie di essere presente sul
territorio per incontrare il proprio pubblico nel corso degli eventi più
cool, occasioni uniche per entrare in contatto con il proprio target.
Radio 105. Proud to be different
INQUADRA IL LOGO PER ASCOLTARE
LA MUSICA DI RADIO 105

 

228
Giancarlo Orsini
P A R T N E R
RadioMediaset
Virgin Radio Italy è, insieme a Radio 105, R101, Radio Monte Carlo e
Radio Subasio, una delle emittenti del Gruppo RadioMediaset.
Virgin Radio è un vero e proprio Lovemark internazionale: il suo
formato STYLE ROCK mette al centro dell’offerta la programmazione
musicale di genere, con un’accurata selezione di brani degli artisti più
rappresentativi e iconici del rock in un giusto bilanciamento tra passato
e presente.
Da più di 10 anni, la stella di Virgin Radio brilla nei festival, concerti
ed eventi più importanti, creando emozionanti momenti d’incontro
con il proprio pubblico e affermando che il rock non è solo un genere
musicale, ma anche e soprattutto un’attitudine ed uno stile di vita.
Virgin Radio, Style Rock!
INQUADRA IL LOGO PER ASCOLTARE
LA MUSICA DI VIRGIN RADIO

 

229
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
www.
www.
RadioMediaset
Radio Monte Carlo è la Radio Italiana del Principato di Monaco.
Un brand riconosciuto a livello internazionale e di grande prestigio che
fa parte del Gruppo RadioMediaset da settembre 2018.
Una raf nata selezione musicale, un’informazione attenta all’attualità
italiana e internazionale e uno spiccato interesse per le passioni dei
propri ascoltatori
fanno di Radio Monte Carlo un must anche in fatto di lifestyle, design,
cinema, arte, moda, viaggi e sport.
Radio Monte Carlo, Musica di Gran Classe
INQUADRA IL LOGO PER ASCOLTARE
LA MUSICA DI RADIO MONTE CARLO

 

230
Giancarlo Orsini
RadioMediaset
R101 è musica e divertimento al 101%! Le più belle canzoni
internazionali ed italiane dagli anni ‘90 ad oggi si mescolano in onda
con la simpatia dei conduttori, che coinvolgono attivamente il pubblico
sugli argomenti del giorno con uno stile smart, ironico e solare.
Il mondo di R101 è un vero e proprio sistema integrato che mette al
centro l’ascoltatore, non solo attraverso la Radio ma anche in TV, sui
canali digitali e sul territorio.
R101, Enjoy the music!
INQUADRA IL LOGO PER ASCOLTARE
LA MUSICA DI R101
P A R T N E R

 

231
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
è un onore ed un piacere.
RadioMediaset
Radio Subasio è l’emittente locale con numeri da network nazionale.
Attiva da oltre 40 anni nel Centro Italia, la sua cifra stilistica è
fondata sugli elementi distintivi della tradizione, della solarità e
dell’interattività, con un’offerta musicale pop che lascia grande spazio
alla musica Italiana di ieri e di oggi senza trascurare i grandi successi
internazionali.
La programmazione dell’emittente è arricchita ogni settimana dalle
interviste e dagli appuntamenti live con i grandi protagonisti della
musica italiana.
Molto attiva nel Centro Italia, Radio Subasio sostiene iniziative ed
eventi, non solo a carattere musicale, del suo territorio di riferimento.
Radio Subasio: suoni, emozioni e sogni
INQUADRA IL LOGO PER ASCOLTARE
LA MUSICA DI RADIO SUBASIO

 

232
Giancarlo Orsini
PIKKART
LORENZO CANALI
Sono Lorenzo Canali, ingegnere ed imprenditore modenese fondatore
prima di Progetti di Impresa, ormai “storica” azienda che si occupa di
soluzioni software per la pubblica amministrazione, e poi di Pikkart,
una scale-up impegnata nella creazione di nuovi ed avanzati
software di realtà aumentata (AR) e di intelligenza artifi ciale (AI).
Dalla sua fondazione nel 2014 ad oggi Pikkart ha infatti sviluppato e
brevettato numerose tecnologie di AR e di AI, spesso uniche ed utili, di
fatto, ad ogni tipo di settore.
Pikkart è una famiglia in crescita. Il mio impegno come imprenditore è
di supportare giovani brillanti e formarli come professionisti e creare
una squadra sempre più grande ed af atata, che possa operare sempre
eticamente mettendo a disposizione di tutti, quei tanti nuovi e utili
“superpoteri” che le nostre tecnologie ci permettono oggi di offrire.
A livello personale, cerco di essere un esempio concreto di rettitudine
per i miei collaboratori e per le mie Figlie, due meravigliose gemelle
Ghanesi, che sono state af date a me ed a mia Moglie Eugenia.
Sostengo inoltre con piccoli contributi l’adozione a distanza e qualche
associazione di volontariato e di ricerca.
A volte mi sento un visionario, e probabilmente lo sono, ma in
realtà il mio super potere è l’essere in grado di trasformare le
tecnologie avanzate che chiedo ai miei collaboratori di sviluppare,
in prodotti utili ed applicabili. Il mio superpotere, in sintesi, è
l’essere un imprenditore! Un ruolo che richiede tantissimo lavoro, una
determinazione incrollabile, ottimismo e proattività.
P A R T N E R

 

233
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
Si sente molto parlare di crisi dell’industria e di fuga di cervelli. Nel suo
(per ora) piccolo, Pikkart non solo raccoglie i migliori ingegneri e ricerca-
tori del territorio, ma ha anche il potenziale di supportare la trasforma-
zione digitale di ogni tipo di azienda italiana, dandole gli strumenti
(e qualche superpotere) per competere con grandi player internazionali.
Ma lo scopo ultimo di un Imprenditore è spesso quello di veder
realizzati i propri sogni, di plasmarli e farli crescere nel tempo.
Fin da bambino sapevo che avrei fatto l’imprenditore. Prima di riuscirci,
dopo la Laurea e dopo aver frequentato un Master in Gestione di Impresa,
ho fatto per diversi anni il Consulente di Organizzazione Aziendale. Sono
diventato imprenditore dal ’98 sull’onda dell’esplosione di Internet.
Poi, nel 2014, il grande colpo di fulmine: ho visto una Applicazione
di Realtà Aumentata, me ne sono innamorato, ed ho capito subito
che questa tecnologia si sarebbe diffusa esponenzialmente, tanti
erano i vantaggi concreti che garantiva. Ho deciso, quindi, di costituire
Pikkart aggregando intorno a me alcuni Ricercatori che si sono poi
rivelati geniali e, insieme, abbiamo iniziato questa nuova grande
avventura che ha iniziato a darci buone soddisfazioni legate ai brevetti
ed alle tecnologie che abbiamo sviluppato per la Realtà Aumentata, la
Computer Vision e l’Intelligenza Artifi ciale. Oggi ci hanno scelto come
Partner Industriale tanti enormi colossi mondiali ed abbiamo venduto
le nostre applicazioni in tantissimi Paesi del mondo.
L’evoluzione della tecnologia, anche della nostra, e le nuove scoperte
scienti che porteranno nelle nostre vite, già nel prossimo futuro, tanti
nuovi “superpoteri” e renderanno “normali” tanti avvenimenti che, se
visti ora, ci sembrerebbero “miracoli”.
Ci saranno quindi enormi miglioramenti ma bisognerà trovare nuovi
equilibri di vita.
Per quanto riguarda me personalmente, il bambino che ero era pieno
di curiosità ed aveva almeno un altro paio di sogni che voleva realizzare
da grande.
Non mi annoierò nemmeno in futuro!
Provo grande rispetto e, perché no, anche altrettanta ammirazione,
per Giancarlo [Orsini], che ritengo essere un grande professionista
ed un fantastico motivatore e trascinatore, grazie alla passione ed
all’entusiasmo che mette in tutto quello che fa. La sua visione del futuro
si allinea alla mia e a quella di Pikkart, è positiva e trasmette positività.
Per questi motivi essere stato scelto per diventare Partner di questo
libro è un onore ed un piacere.
pikkart.com

 

234
Giancarlo Orsini
è un onore ed un piacere.
HYLED
Dalla volontà di creare valore ed
essere differente, nasce HYLED.
Con l’obiettivo principale
di traghettare le aziende nel DIGITALE
Hyled è una realtà dedicata alla digital transformation, che aiuta
professionisti ed imprese a dotarsi di strumenti ef caci per vincere
le s de di un futuro necessariamente digitale creando un ponte tra
il mondo analogico, fatto dagli uomini, e il mondo digitale composto
dalle macchine. In un mondo in cui tutto volge verso un “asettico”
digitale la nostra mission è sempre orientata alla comunicazione tra
uomo e macchina.
Questa comunicazione è possibile solo usando il linguaggio giusto,
un linguaggio espresso da una macchina che noi traduciamo anche agli
uomini più distanti dal mondo tecnologico.
P A R T N E R

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
Nascono così interfacce innovative, strumenti di analisi in grado di
andare oltre alla semplice rappresentazione di dati su gra ci, strumenti
di automazione e gestione dei processi produttivi che sempli cano
realmente le operazioni delegate all’uomo.
Per noi “il domani” è fatto da una vera collaborazione e sinergia
tra uomo e macchina, in cui l’uomo torna ad essere il vero centro
dell’universo e le macchine gli fanno da supporto attivo nelle varie
operazioni quotidiane.
Hyled si occupa di eventi e formazione ad alto livello, tecnologie
immersive come realtà aumentata e realtà virtuale, applicazioni mobili
integrate a sistemi gestionali personalizzati. Ci occupiamo di progetti
editoriali innovativi.
Diventare partner di questo progetto è per noi importante in quanto
l’opera di divulgazione aiuta ad eliminare barriere altrimenti
insormontabili.
Perché il mondo sarà digitale,
ma noi siamo ancora analogici.
hyled.it

 

236
Giancarlo Orsini
SETPOINTSTUDIO
Si comincia un po’ per caso, perché è la curiosità a spingerti a scoprire.
Ognuno parte con dei sogni non ben de niti, sapendo una direzione da
percorrere, ma non conoscendo bene la meta che si vuole raggiungere.
I nostri sogni erano legati a quello che ci faceva emozionare guardando
i grandi lm da piccini. Non capivamo come si potessero creare mondi
che non esistono, far rivivere i grandi personaggi dell’antichità, dar vita
a creature spettacolari… come dei semplici fotogrammi in successione
potessero colpire il cuore, far ridere, gioire o commuovere.
Volevamo capire come si faceva a creare tutta quella magia. E ci
siamo trovati: quattro ragazzi che stavano seguendo i loro cammini
e che, guardandosi af anco, si sono riconosciuti. Non eravamo soli:
c’era qualcuno che sognava le nostre stesse cose. È così, che ci siamo
conosciuti.
E dal conoscerci siamo passati a condividere esperienze e superare,
aiutandoci, le prime dif coltà. Ci hanno rafforzato e, alla ne, ci siamo
scoperti come team.
Il lavoro individuale iniziava a stare un po’ stretto a tutti. Serviva nuova
linfa per alimentare ancora un po’ i nostri sogni e per provare a creare
qualcosa di più grande. È nato così SETPOINTSTUDIO.
Se passi da noi per un caffè o una partita a ping pong è evidente n da
subito che non si tratta di un semplice uffi cio, ma una fucina di idee,
aperta alle novità, dove tutti noi siamo propensi a nuove collaborazioni,
predisposti a sperimentare le ultime tecniche artistiche e sempre pronti
P A R T N E R

 

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a stupire non limitandoci a descrivere, ma sforzandoci di raccontare un
brand, un evento, un prodotto, un’applicazione, una storia.
Oggi le nostre competenze tecniche spaziano dalla computer
grafi ca all’animazione 2D, passando per i visual fx, il videomaking e
l’illustrazione. La nostra è una scelta a suo modo coraggiosa: abbiamo
preferito specializzarci nella produzione video a discapito della classica
agenzia di comunicazione che propone un ventaglio molto ampio di
servizi: dalla brochure agli stand per le ere, dal sito al video aziendale,
dagli eventi ai social.
Ognuno di noi continua a camminare sul proprio percorso, ciascuno con
la propria individualità. Ed è questa la nostra forza: mettere a fattor
comune le capacità singole, in un mix capace di proporre soluzioni
su misura. Capacità verticali, tutte dedicate alla produzione video.
Facciamo video. Raccontiamo storie. È quello che ci piace, quello che
sappiamo fare, quello che sognavamo di fare da bambini.
Il “WOW” dei clienti a lavoro nito è la nostra più grande soddisfazione,
ci piace tradurre in immagini le richieste, rispettando le loro esigenze
e guidandoli nella scelta migliore per una maggiore resa. Come spesso
ci piace ripetere, non facciamo semplicemente video, raccontiamo
storie. E raccontare una storia signifi ca creare un contatto, una
sinergia, un’unione tra le creatività di più persone, arrivare all’obiettivo
comunicando un messaggio grazie al coinvolgimento emotivo.
Se manca una buona idea il lavoro nale non starà in piedi, anche
avendo i migliori effetti visivi al mondo.
I clienti crescono di mese in mese: siamo digitali, ma è il passaparola,
la buona referenza, che ci fa apprezzare nel nostro contesto. È una
questione di relazioni, di serietà e di impegno. Sarà sempre così.
Ora siamo al quinto anno dell’attività, stiamo costruendo qualcosa
di importante, le responsabilità aumentano, le s de sono sempre
più impegnative, ma ci contraddistingue la serenità, genuinità e
spensieratezza di quando facevamo le cose solo per il gusto di
sperimentare e curiosare. Ed è così che vogliamo continuare a crescere.
Sperimentando e curiosando.
Al piano di sotto abbiamo un tavolo da ping pong che non solo ci tiene
compagnia nelle pause tra un lavoro e l’altro, ma ci ricorda anche che
il setpoint è solo uno dei tanti punti che bisogna fare per portare a
casa il match. Guai ad abbassare la guardia!
setpointstudio.com

 

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Giancarlo Orsini
ROBERTA GIULIA AMIDANI
SCRITTRICE FULL TIME, DESIGN THINKER
Di mestiere io sono un fantasma. Lavoro a libri rmati da chi mi sceglie.
Io ci metto la voce, le parole, la penna. Qualcun’altro ci mette il nome in
copertina, le idee, e la presenza sui palchi di mezzo mondo per portare
in giro le parole nate nel mio studio. C’è chi pensa che ci sia qualcosa di
sbagliato in quello che faccio. In un’epoca in cui le persone sono divise
da tutti e su tutto, c’è bisogno di storie che ci uniscano, che ci rendano
migliori di quello che siamo, come individui e come società.
Le buone storie, raccontate bene, sono tra le armi più potenti
dell’umanità. Sono quelle che ci fanno crescere, che ci muovono come
singoli e come specie. Ogni buona storia, raccontata bene, è un passo
avanti verso un mondo migliore.
Prima dei 30 anni avevo una carriera brillante nel mondo delle
multinazionali, un marito, una casa stratosferica, un glio stupendo,
un valanga di provvigioni, una macchina che macinava più autostrada
di una betoniera. A 30 ho iniziato a capire che avevo bisogno di un
signi cato che andasse oltre il denaro, e oltre me stessa, e la mia
carriera. Poco dopo ho lasciato tutto – tranne il glio – e ho deciso
di vivere di scrittura. Era il 2013 e in Italia la parola ghostwriter era
seguita sempre da un “eh?” proveniente dall’altra parte.
P A R T N E R

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
LE MIE INNOVAZIONI
Quando ho iniziato, la media di settore per la consegna della prima
bozza di un libro era di 10 mesi (salvo imprevisti che, guarda caso,
c’erano sempre).
All’epoca ero sola. La prima innovazione è arrivata con Gianluca Amato,
l’amico, losofo, sociologo e semantic specialist con il quale ho scritto
oltre 80 libri negli ultimi anni. Insieme a lui ho capito che scrivere un
libro non ha niente di naturale (passare dieci ore al giorno a battere
tasti non è quello per cui la natura ci ha fatto evolvere) e poi che –
siccome scrivere è faticoso, è una questione di resistenza e coraggio,
di motivazione e di attenzione, tutte risorse molto scarse in natura, e
dif cilmente rinnovabili – scrivere insieme è più divertente. E molto più
ef cace.
Tant’è che oggi, io e Gianluca consegniamo il primo prototipo (cioè
la bozza del libro) in 30 giorni. Eppure la nostra innovazione non è
il prototipo consegnato, ma l’esperienza che disegniamo per chi ci
sceglie, ossia quella che mettiamo a terra per i suoi lettori. Per i primi
un progetto di vita articolato in un piano a prova di bomba; per i secondi
un momento signi cativo capace di lasciare un segno.
Ecco perché prima di scrivere ogni libro, lavoriamo alla sua strategia e
nel preparare quella, non ci occupiamo solo di stabilire la sequenza dei
contenuti; quello che facciamo davvero è usare l’empatia per chiederci
chi è l’autore che ci ha scelto, qual è il suo perché, e chi sono i suoi
lettori. Se la risposta a queste tre domande ci piace, e deve piacerci di
pancia, allora sappiamo che il libro sarà un successo. Poi viene tutto il
resto: la strategia, la disciplina, la tecnica, e i risultati.
La mia prima innovazione è l’unione; la seconda l’empatia codi cata
in una strategia che porta a un prototipo; la terza riguarda il futuro.
Quando Gianluca mi ha presentato la prima versione di un intelligenza
arti ciale che scrive libri (e ha già vinto un premio), insieme abbiamo
deciso di guardare avanti e metterci al servizio di Lato, una società
Bene t che si occupa di Design dell’Innovazione.
Nessun futuro ci fa paura come non ce ne fa una macchina che scriva
bene quanto noi. Non perché non ce ne siano già di macchine così, ma
perché sappiamo che lo storie saranno salve.
loscrittorefantasma.com

 

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Giancarlo Orsini
NARDIN LIBRI
MARCO NARDIN
Eccomi qua, mi chiamo Marco, classe 1975, indirizzato agli studi
gra ci dall’attività di famiglia e dal profumo di carta e inchiostro che mi
accompagnano n dall’infanzia.
Ho svolto il servizio di leva nel 1994 in una tipogra a militare a Roma e
nello stesso anno ho conseguito il titolo di perito gra co.
Roma torna nella mia vita nel 2006 quando, indirizzato sempre da mio
padre, approdo al mondo associativo, mondo che darà la svolta alla
mia vita, alla mia crescita, alla padronanza del mio sapere e ad una
nuova consapevolezza di libertà. È la libertà di distinguersi, di agire e
di fare delle scelte senza la paura di uscire dagli schemi del classico
uomo/imprenditore. Ed è su questo concetto di libertà e sul rispetto
dei forti valori trasmessi dalla mia famiglia che ho costruito il mio
percorso di vita.
La nascita della Tipogra a Nardin nel 1967 è intuizione dei fratelli Italo
e Mauro Nardin. Nel 1999 l’evoluzione in Gra che Nardin, con l’entrata
in società mia e di mio cugino Rossano, vede il rinnovo dell’intero
ciclo produttivo. Le soddisfazioni professionali sono state numerose
e legate sempre alla qualità del prodotto. Ricordo tra le prestigiose
commesse di libri d’arte, il catalogo per la mostra del pittore Giovanni
P A R T N E R

 

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GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
Boldini e le pubblicazioni celebrative della ricostruzione dei due templi
della lirica italiana: la Fenice di Venezia e la Scala di Milano, editi da
Marsilio Editori.
Oggi l’azienda opera nel ramo della comunicazione a 360 gradi avendo
af ancato alla stampa vari brand tra i quali Quadricanvas e NardinLibri.
Tutti interpretano al meglio la nostra mission aziendale dove sono
le persone che creano valore replicabile nel tempo utilizzando al
meglio i processi tecnologici.
L’avvento della tecnologia digitale ha inevitabilmente messo in
discussione l’ef cacia della carta stampata che per sua natura è un
mezzo di comunicazione meno targettizzato. Ma la stampa può ancora
essere competitiva se le parole d’ordine sono creatività e tecnologia!
Con le nuove frontiere tecnologiche, in primis la Realtà Aumentata e
questo libro ne è l’esempio, si potrà sapere chi legge quel depliant o
quel flyer e per questo motivo è fondamentale che il prodotto stampato
esprima una creatività forte e sia capace di stimolare la curiosità.
Essere partner di questo libro è un orgoglio e una s da a non fermarsi
perchè oggi più che mai abbiamo la necessità di trasformarci e di
dare risposte immediate ad un mondo che è in continua evoluzione.
E poi dal momento che ho insistito af nché Giancarlo scrivesse questo
libro non potevo non essere al suo anco nel progetto GO!!
gra chenardin.it

 

 

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RINGRAZIAMENTI
Dedico questo libro ai miei nipoti Kyle e Kevin per il loro
futuro.
Ringrazio la mia famiglia,  i miei soci, Marco Nardin, perché
mi ha imposto di scriverlo, e Bruno Lenzi, perché ha
insistito; i miei editor, Roberta Giulia Amidani e Gianluca
Amato, perché mi hanno sostenuto e guidato; la mia
assistente Cristina, i miei tecnici registi Ivan e Alessandro
e tutti i miei collaboratori perché non hanno ancora
smesso di aiutarmi a guardare avanti.
Ringrazio tutti i partner che hanno permesso la
realizzazione di questo progetto editoriale innovativo e
tutti i testimonial, vero valore aggiunto di questo libro.
Ringrazio la mia guida, Stefano Volpato, per avermi ispirato
negli ultimi 26 anni.
243
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244
Giancarlo Orsini
NOTE
1 HTTPS://WWW.NATURE.COM/ARTICLES/S41561-018-0111-Y
2
La versione originale di questa proporzione è di David Brower, un ambientalista
americano, ed è poi diventata celebre grazie all’astronomo e divulgatore scientifico
Carl Sagan. Brower ha immaginato di condensare la storia del nostro pianeta in sei
giorni, prendendo spunto dalla genesi.
3
Istat: https://www.istat.it/it/files//2011/01/Generazioni-nota.pdf
https://www.istat.it/it/files/2014/09/Generazioni-a-confronto.pdf ;
Isabella Pierantoni, sociologa:

La sfida della convivenza generazionale nelle aziende


4 http://doyoutrustthiscomputer.org/
5
https://www.focus.it/tecnologia/innovazione/incidente-fatale-lauto-di-uber-scelse-
di-ignorare-il-pedone
6
HTTPS://WWW.GATEBOX.AI/
7
99 VOLTE SU 100 L’ASSISTENTE È UNA DONNA, GIOVANE, CARINA, REMISSIVA.
QUALCUNO HA DA FARSI QUALCHE DOMANDA IN PROPOSITO?
8
Joanna Burke, Fear. A cultural History, Counterpoint, London, UK, 2011
9 https://www.lastampa.it/tecnologia/idee/2017/11/08/news/stephen-hawking-l-
intelligenza-artificiale-potrebbe-distruggere-la-nostra-civilta-1.34380826?refresh_
ce
10 https://www.lastampa.it/tecnologia/news/2018/04/09/news/elon-musk-l-
intelligenza-artificiale-puo-creare-un-dittatore-immortale-1.34002746
11 Jerry Kaplan, Le persone non servono: Lavoro e ricchezza nell’epoca dell’intelligenza
artificiale, LUISS University Press, 2016
12 Nick Bostrom, “Superintelligenza, Tendenze, pericoli, strategie” –  Bollati Boringhieri
Editore, Torino 2018
13 https://www.repubblica.it/tecnologia/2019/10/05/news/il_42_degli_italiani_teme_
effetti_intelligenza_artificiale-237760205/
14 http://www.guardailtuofuturo.net/service/webs_news_frameset.aspx?id_
news=24314
http://www.guardailtuofuturo.net/service/webs_
news_frameset.aspx?id_news=23999
15 https://www.ilsole24ore.com/art/cosi-computer-quantistico-google-esegue-calcoli-
10mila-anni-3-minuti-ACVGu1l
16 EX_MACHINA, regia di Alex Garland, DNA Films, UK, 2014
17 (Daniel E. Lieberman, “La storia del corpo umano – evoluzione, salute e malattia”,
Codice Edizioni, 2017, pag. XIX).
18 Idem
19 https://www.intuitive.com/en-us/products-and-services/da-vinci
20 http://ls.amegroups.com/user/view/60832
21 https://ricerca.gelocal.it/iltirreno/archivio/iltirreno/2014/07/17/NZ\_28\_01.html

 

 

245
GO CHIUDI GLI OCCHI E GUARDA IL TUO FUTURO
22 ttps://www.express.co.uk/news/science/781136/IMMORTALITY-google-ray-
kurzweil-live-forever
23 http://www.ansa.it/canale\_scienza\_tecnica/notizie/biotech/2019/07/29/la-
mappa-genetica-dellimmortalita-dal-dna-dellidra-\_a74f4d8c-2017-47c6-940d-
b39a19a4f12e.html
24 Si tratta della proteina Gdf11. – https://www.lastampa.it/2015/03/11/scienza/i-
miliardari-che-curano-la-morte-vivremo-fino-a-anni-stAutt38rM4SgCQmfXY2oK/
pagina.html
25 https://www.adnkronos.com/salute/medicina/2019/07/26/mappate-cellule-dell-
immortalita-dell-idra\_6kFklEgKYDnp1kVYyCQHOI.html
26 Liberman, ibidem.
27 Jablonksi, 2006
28 Daniel Goleman, sociologo, giornalista, laureato ad Harvard in psicologia clinica
e sviluppo della personalità”, è famoso per essere stato il primo a occuparsi delle
componenti emotive nelle funzioni più razionali del pensiero. L’opera più conosciuta
di Goleman è “Intelligenza emotiva” (Emotional Intelligence) del 1995 nel quale
sostiene come la conoscenza di sé, la persistenza e l’empatia siano gli elementi che
probabilmente influenzano maggiormente la vita dell’uomo.
29 Luca Tomassini, “L’innovazione non chiede permesso”, Franco Angeli 2018.
Imprenditore, professore aggiunto in LUISS Business School, docente in
Telecomunicazioni e digital media dell’Università della Tuscia, e cavaliere del Lavoro.
30 Luca Tomassini, “L’innovazione non chiede permesso”
31 Nick Bostrom, “Superintelligenza, Tendenze, pericoli, strategie” –  Bollati Boringhieri
Editore, Torino 2018 – pag. 243
32 Robert Gordon, economista statunitense, professore di Scienze Sociali alla
Northwestern University, citato da Massimo Gaggi in  “Homo Premium – Come la
tecnologia ci divide” – Editori Laterza, Bari, 2018, pag. 59.
33 https://www.galileonet.it/cervello-paura-futuro/
34 https://st.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2016-12-29/il-distretto-dell-
arredo-pesaro-ritrova-crescita-163948.shtml?uuid=ADVpKWMC
35 https://www.futurebrand.com/futurebrand-country-index
36 https://www.money.it/I-10-miliardari-piu-giovani-ricchi-al-mondo-2019
37 “Proceedings of the National Academy of Sciences”. http://www.lescienze.
it/news/2011/11/08/news/risultati\_scientifici\_sempre\_meno\_per\_
under\_30-645367/
38 Tra queste possiamo citare Einstein che a 26 anni pubblicò alcuni dei suoi lavori
più rilevanti (tra cui quelli sull’effetto fotoelettrico, il moto browniano e la relatività
speciale).
39 https://www.corriere.it/cronache/19\_giugno\_22/geni-ambientecosi-si-diventa-
giovani-anziani-809bb226-951c-11e9-b462-499d272481c8.shtml
40 In Praise of Slow (2004)
41 https://www.theguardian.com/society/2019/jan/03/age-against-the-machine-
secret-enjoying-long-life-carl-honore
42  https://interestingengineering.com/living-with-artificial-intelligence

 

 

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Giancarlo Orsini
43 https://twitter.com/hashtag/freedorothy
44 https://interestingengineering.com/living-with-artificial-intelligence
45 https://tg24.sky.it/mondo/2018/03/14/estonia-paese-digitalizzato.html
46 https://e-estonia.com/estonia-accelerates-artificial-intelligence/
47 https://wyss.harvard.edu/news/novel-4d-printing-method/
48 http://www.openbiomedical.org/
49 https://www.focus.it/ambiente/animali/come-apparirebbe-il-tuo-supermercato-se-
sparissero-le-api
50 https://futureskills.pearson.com/
51 https://www.cognizant.com/whitepapers/21-jobs-of-the-future-a-guide-to-getting-
and-staying-employed-over-the-next-10-years-codex3049.pdf
52 https://www.elementsofai.com/
53 https://www.centodieci.it/manifesto/
54 https://www.forbes.com/sites/bernardmarr/2019/04/29/the-10-vital-skills-you-
will-need-for-the-future-of-work/#26aaa4773f5b
55 https://www.cnbc.com/2018/11/27/gm-breaks-from-tradition-with-new-untested-
path-under-ceo-mary-barra.html
56 https://corriereinnovazione.corriere.it/cards/addio-auto-arrivano-app-che-ci-
pagano-camminare/sweatcoin.shtml
57 Gerd Leonhard, Technology vs. Umanity. The coming clash between man and
machine, Fat Future Publishing, 2016
58 https://techgreenpledge.org/
59 https://thefuturescentre.org/fos2019/#introduction
60 https://www.focus.it/ambiente/ecologia/popolazione-mondiale-nel-2050-saremo-
10-miliardi

 

 

 

 

 

Quarta ristampa: Maggio 2023
www.grafichenardin.it

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